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Il segmento testuale La sera è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 450Analitici , di cui in selezione 19 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da Natalia Ginzburg, Le piccole virtù in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1960 - 9 - 1 - numero 46

Brano: [...]imo nell'ingresso, per salutarla quando se ne andava. Se invece mia madre tornava prima del tempo minimo che dovevo rispettare, mi toccava ballare. Perché mia madre mi diceva « met
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ti un disco », e poi ordinava « suvvia, ballate ». Io ero impacciato, e spesso il mio corpo pesante sbagliava il ritmo; ma la ragazza m'incoraggiava. Qualche volta poggiava la sua guancia alla mia e mi si addossava. Mamma fingeva di non vedere.
La sera, poi, mi domandava le mie impressioni. Io tacevo, o rispondevo con rade parole, ad abbandonare l'argomento. Giuseppina origliava, nascosta dietro la porta.
In due anni saranno sfilate in casa mia trenta ragazze: alcune una sola volta, altre — quelle che mia madre riteneva le più idonee — più volte. Ma ad un certo punto la ribellione s'è fatta strada in me, e non sono riuscito a reprimerla: sicché vivevo nel timore continuo che la stizza crescente mi facesse esplodere contro mia madre. Il sangue, infatti, adesso mi affluiva copioso alla faccia ogni volta che lei al mattino entrava nella mia s[...]

[...]o.
« Ti devi sposare » ha asserito.
«
E stata mamma che ti ha fatto venire a Roma » ho detto secco. Lui si è schermito, ma malamente.
« Sappi una volta per sempre » ho strillato andando verso la porta, « che non ho nessuna intenzione di sposarmi ».
« Aspetta un momento » ha detto lo zio scandendo le sillabe. « Te l'ho suggerito per il tuo bene... Io l'ho fatto lo sbaglio, e adesso lo pago... La serva mi ruba... I parenti mi danno fastidi... La sera torno a casa, e chi trovo? Nessuno... E che vuoi riparare, a sessantacinque anni? ».
« Ti ringrazio ma il matrimonio non fa per me, e so pensare da solo alla mia vita » l'ho interrotto.
« La fregatura tua è stata quella di essere figlio unico » ha ribattuto. « Questo è il fatto ».
Ci siamo messi a strillare tutti e due. Non ho un ricordo preciso perché ero in preda all'agitazione, ma devo essere stato violento e forse anche volgare, perché ad un certo momento lo zio ha detto « quand'è così... », ed è andato in cucina da mia madre. Io mi sono messo a leggere un romanzo giallo, ma una nebbia[...]

[...]a marroni per la nicotina.
Ho respinto ricordo e dolcezza e sono andato in cucina per redarguire mia madre. L'ho trovata che preparava un dolce con Giuseppina.
« Così non può andare, mamma » ho detto. « Adesso non ti bastano più le ragazze, adesso mi cacci in casa anche i parenti».
Mia madre non mi ha risposto; ha tratto dalla tasca un fazzoletto e si è messa a piangere. Giuseppina è andata via.
Io sono uscito e sono andato in ufficio, e quella sera ho conosciuto Wanda.
La stava interrogando il maresciallo Porzio, intorno ad una rissa assai violenta che era scoppiata la mattina su un tram. Io ero entrato da lui perché mi pareva di aver dimenticato un'agenda sul suo tavolo, e il grande corpo di Wanda mi aveva subito impressionato. Lei aveva volto di scatto il capo verso di me, e mi aveva guardato con diffidenza.
Stava deponendo a favore del fidanzato. Nel tram un uomo l'aveva toccata, il fidanzato se n'era accorto e aveva reagito, altri erano intervenuti. Sono rimasto ad assistere all'interrogatorio.
Mentre rispondeva, Wanda si toccava[...]

[...]posto. « Perché dovrebbe saperlo ? ».
« Sa » ha spiegato, « sono preoccupata... Oggi non è facile trovare lavoro ».
« Dove lavora ? » le ho chiesto.
« Al bar Corallo, in via Po... Faccio la cassiera ».
« Stia tranquilla, signorina » le ha sorriso il maresciallo.
Se n'é andata lanciandomi un altro sguardo lungo. Io sono andato a guardare il verbale e ho letto l'età : ventisei anni. Porzio mi ha detto : « Vedesse che tipo, il fidanzato... ».
La sera sono andato al bar Corallo. Appena mi ha visto Wanda mi ha sorriso con sicurezza, come se si aspettasse la mia visita. Subito ha chiamato il proprietario e me lo ha presentato, dicendogli con affettazione la mia professione. Il proprietario s'é inchinato, poi ci ha lasciato soli.
Wanda mi ha chiesto se il fidanzato era in carcere. Le ho detto che credevo di si, a disposizione dell'autorità giudiziaria; ma che presto sarebbe stato rimesso in libertà. « Con questo freddo... » ha detto lei ridendo. Ha sbagliato due volte nel dare il resto agli avventori, e quando quelli le hanno fatto notare l'[...]

[...]di là. Poi mi sono messo a passeggiare per il corridoio. Frattanto s'era fatta notte, nessuno aveva acceso le luci, e il duplice pianto risuonava per tutta la casa. Ho pensato che la cosa migliore era uscire, prendere aria. Ma quando sono arrivato al portone ho capito che non avrei potuto continuare a vivere in quel modo. Sono tornato a casa. Mia madre era distesa su un divano. Le ho detto subito di far preparare da Giuseppina la mia roba, e che la sera stessa me ne sarei andato via. Mia madre non mi ha risposto, io sono uscito. Sapevo che quella sera Wanda cominciava a lavorare alle sei, e alle sei meno dieci ero davanti al bar.
AVVENTURA DI UN COMMISSARIO 119
Poco dopo l'ho vista arrivare, col passo stanco e un vestito più corto. Non aveva l'aria di disappunto che mi aspettavo. Mi ha detto che era rimasta male, ma sorridendo, come se parlasse di un'altra. Le ho fatto le mie scuse. « Tu non c'entri » ha detto lei, « tua madre vuole che tu frequenti le signore... e poi deve avermi giudicata male ». Io le ho detto che mia madre era nevrotica, lei forse non ha capito la parola e mi ha detto « non parliamone più ». Poi é entrata nel bar.
D[...]

[...]etto che mia madre era nevrotica, lei forse non ha capito la parola e mi ha detto « non parliamone più ». Poi é entrata nel bar.
Dall'ufficio ho telefonato ad un albergo secondario del centro ed ho prenotato una stanza. Poi ho mandato un agente a casa a prendere la mia roba. Gli ho ordinato di portarmi le valigie ad un bar prossimo all'ufficio, per evitare che mia madre potesse strappargli il mio indirizzo. Alle nove sono andato in albergo. Quella sera non ho avuto voglia di vedere Wanda, e sono andato al cinema.
Nei giorni successivi ho continuato a vederla, ma non ho potuto portarla in albergo: anche a voler vincere la prevenzione, avevo già mostrato la mia tessera di funzionario quando c'ero andato, giacché non avevo altri documenti addosso.
Wanda è venuta spesso a prendermi in ufficio, in quei giorni. Una volta l'ho trovata che chiacchierava con Porzio, nell'anticamera. Lei era addossata al muro, Porzio le stava assai vicino e le parlava in una maniera ad un tempo ammiccante e languida, da corridoio di treno. Appena mi ha visto si é f[...]

[...]armi se il riscaldamento, dove mi trovavo, era sufficiente; al massimo accennava a qualche novità, che per solito riguardava i parenti: sua cugina s'era aggravata, zio Alfonso era stato fatto commendatore. Per la sicurezza che le traspariva dalla vo
AVVENTURA DI UN COMMISSARIO 121
ce, e per l'astensione da qualsiasi tentativo di carpirmi l'indirizzo, mi pareva che stesse ordendo fiduciosa una qualche insidia per riavermi. Ma non me ne curavo.
La sera, adesso, dall'ufficio uscivo un po' prima. A casa trovavo Wanda che mi aspettava ascoltando canzonette alla radio, tenuta a pieno volume. Mi cambiavo, poi uscivo con lei. Andavamo al cinema, o a passeggio per il centro, o a comprare biancheria. Al cinema. Wanda mi spingeva sempre verso il fondo della sala. Mi abbracciava, ma nei momenti salienti del film ritornava composta. Mentre camminavamo per le strade del centro mi tratteneva davanti alle vetrine dei negozi, era allegra e m'indicava ad alta voce gli oggetti esposti. Molti la notavano, e spesso mi arrivavano parole salaci.
Un giorno mi h[...]

[...]detto anche che allora c'erano gli Americani, e il Corso sembrava un campo di battaglia. Una sera un negro le aveva tirato le trecce con forza, aveva aspettato che piangesse ed era scappato. Il padre e la madre in quel periodo non si curavano affatto di lei. Il padre era disoccupato, e vendeva pane e sigarette al mercato nero di Tor di Nona; la madre procurava ragazze ai soldati stranieri, e trafficava nelle cucine dei campi militari. Sicché lei la sera si comprava qualche cosa e mangiava sola. Poi cadeva sul letto, abbattuta dalla stanchezza. La mattina, quando si alzava, il padre e la madre erano usciti; qualche volta non li vedeva per una settimana.
Spesso ci aiutavamo a farci la doccia, e lei mi vezzeggiava. Dopo di avermi asciugato mi cospargeva tutto il corpo di talco; « come ai bam
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RAFFAELE CRIVARO
bini » diceva. Quando non uscivamo, la sera mi sdraiavo sul divano del soggiorno, lei attendeva alla cucina o rassettava la stanza da letto (era molto meticolosa nel pulire e lucidare). Ogni tanto veniva a sedermi accanto, e qualche volta mi parlava di Lucio, il fidanzato (che era ormai a piede libero), del bene che gli aveva voluto. Aveva saputo dal garzone del bar Corallo che lui la cercava per tutta la città. « E un mascalzone » diceva, « ma mi fa pena ». Io le facevo domande: dove andavano a fare l'amore, con che frequenza lo facevano, se andavano spesso al cinema, e a ballare. Lei qualche volta mi rispondeva, per esempio che l'amo[...]

[...]o, e qualche volta mi parlava di Lucio, il fidanzato (che era ormai a piede libero), del bene che gli aveva voluto. Aveva saputo dal garzone del bar Corallo che lui la cercava per tutta la città. « E un mascalzone » diceva, « ma mi fa pena ». Io le facevo domande: dove andavano a fare l'amore, con che frequenza lo facevano, se andavano spesso al cinema, e a ballare. Lei qualche volta mi rispondeva, per esempio che l'amore lo facevano in campagna la sera, se non faceva troppo freddo, oppure che ai films e al ballo Lucio preferiva le pizze; ma talaltra volta mi guardava storto, chiaramente indignata per quella curiosità. Che non era, malsana, giacché quelle domande erano mosse da un sentimento di affetto, ed erano dirette ad inquadrarla, a capirla meglio.
Una volta prese lei l'iniziativa: come per scolpare Lucio, mi disse che non era stato lui a cominciarla all'amore; la scusassi, la sera della nostra prima uscita mi aveva detto una bugia. Era stato invece un capitano francese, quando lei aveva tredici anni e Roma era ancora occupata. L'aveva fatta salire nella sua stanza del « Plaza », adducendo che la moglie aveva bisogno di uno shampoing. Ma la moglie non c'era, forse non esisteva, e lui le aveva strappato una gonna proprio bella, comprata il giorno prima.
La maniera tranquilla nella quale Wanda ricordava il suo passato, che mi si offriva esatto e senza veli, mi aiutava a svincolarmi dal passato mio. Ne risultava una grande libertà: sempre di più si dileguava la paura di v[...]

[...] in questo caso avrei dovuto lasciar decidere a mia madre tutta la mia vita. Avrei dovuto scegliere una moglie fra le scimmie sue amiche, imbarcarmi in un viaggio di nozze. disporre un apparato domestico acconcio alla nuova condizione, sostenere lugubri visite domenicali, rispettare obblighi e doveri. Tanto valeva, allora, continuare a far perno sulla vita con Wanda, restare al cimento del concubinaggio, per tentare ancora una qualche riscossa.
La sera, ho mostrato a Wanda la lettera. Lei, che stava lavando le mie camicie, s'é subito asciugata le mani e l'ha letta con molta attenzione. « Decidi tu » ha sorriso dopo. Io ho ostentato serenità, e ho ribattuto che non avevo niente da decidere: ero andato via di casa, e basta. Casomai avrei visto — ho aggiunto — di rimettermi con mia madre in rapporti normali. K Fai bene » ha detto lei, e mi ha restituito la lettera. Poi, fat
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tasi improvvisamente seria : « Ma senti un po' » ha soggiunto, « perché me l'hai fatta leggere? ».
In una mattina molto limpida, della pr[...]

[...]re in ufficio, o che ho sonno, o che debbo lamentarmi con la serva perché le camicie sono stirate male.
Adesso, mi trattengo in ufficio più del solito e cerco di allargare i miei interessi, perché se ne giovi la carriera. Pare che nessuno sia venuto a conoscenza dei miei casi, e questo è assai importante. Con Porzio, corrono i rapporti di sempre; sebbene, una tal quale maggiore rigidità, da parte mia, stia agevolando lo svolgimento del lavoro.
La sera, vado spesso al cinema. Se non esco, mi faccio cocktails di frutta col frullatore, e leggo romanzi gialli. Ho anche comprato un fonografo, e alcuni dischi di canzoni. Ogni tanto li ascolto, mi prende uno struggimento breve e penso a Wanda, che fa all'amore chissà con chi.
RAFFAELE CRIVARO



da Raffaele Crivaro, Avventura di un commissario in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1960 - 9 - 1 - numero 46

Brano: [...]imo nell'ingresso, per salutarla quando se ne andava. Se invece mia madre tornava prima del tempo minimo che dovevo rispettare, mi toccava ballare. Perché mia madre mi diceva « met
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ti un disco », e poi ordinava « suvvia, ballate ». Io ero impacciato, e spesso il mio corpo pesante sbagliava il ritmo; ma la ragazza m'incoraggiava. Qualche volta poggiava la sua guancia alla mia e mi si addossava. Mamma fingeva di non vedere.
La sera, poi, mi domandava le mie impressioni. Io tacevo, o rispondevo con rade parole, ad abbandonare l'argomento. Giuseppina origliava, nascosta dietro la porta.
In due anni saranno sfilate in casa mia trenta ragazze: alcune una sola volta, altre — quelle che mia madre riteneva le più idonee — più volte. Ma ad un certo punto la ribellione s'è fatta strada in me, e non sono riuscito a reprimerla: sicché vivevo nel timore continuo che la stizza crescente mi facesse esplodere contro mia madre. Il sangue, infatti, adesso mi affluiva copioso alla faccia ogni volta che lei al mattino entrava nella mia s[...]

[...]o.
« Ti devi sposare » ha asserito.
«
E stata mamma che ti ha fatto venire a Roma » ho detto secco. Lui si è schermito, ma malamente.
« Sappi una volta per sempre » ho strillato andando verso la porta, « che non ho nessuna intenzione di sposarmi ».
« Aspetta un momento » ha detto lo zio scandendo le sillabe. « Te l'ho suggerito per il tuo bene... Io l'ho fatto lo sbaglio, e adesso lo pago... La serva mi ruba... I parenti mi danno fastidi... La sera torno a casa, e chi trovo? Nessuno... E che vuoi riparare, a sessantacinque anni? ».
« Ti ringrazio ma il matrimonio non fa per me, e so pensare da solo alla mia vita » l'ho interrotto.
« La fregatura tua è stata quella di essere figlio unico » ha ribattuto. « Questo è il fatto ».
Ci siamo messi a strillare tutti e due. Non ho un ricordo preciso perché ero in preda all'agitazione, ma devo essere stato violento e forse anche volgare, perché ad un certo momento lo zio ha detto « quand'è così... », ed è andato in cucina da mia madre. Io mi sono messo a leggere un romanzo giallo, ma una nebbia[...]

[...]a marroni per la nicotina.
Ho respinto ricordo e dolcezza e sono andato in cucina per redarguire mia madre. L'ho trovata che preparava un dolce con Giuseppina.
« Così non può andare, mamma » ho detto. « Adesso non ti bastano più le ragazze, adesso mi cacci in casa anche i parenti».
Mia madre non mi ha risposto; ha tratto dalla tasca un fazzoletto e si è messa a piangere. Giuseppina è andata via.
Io sono uscito e sono andato in ufficio, e quella sera ho conosciuto Wanda.
La stava interrogando il maresciallo Porzio, intorno ad una rissa assai violenta che era scoppiata la mattina su un tram. Io ero entrato da lui perché mi pareva di aver dimenticato un'agenda sul suo tavolo, e il grande corpo di Wanda mi aveva subito impressionato. Lei aveva volto di scatto il capo verso di me, e mi aveva guardato con diffidenza.
Stava deponendo a favore del fidanzato. Nel tram un uomo l'aveva toccata, il fidanzato se n'era accorto e aveva reagito, altri erano intervenuti. Sono rimasto ad assistere all'interrogatorio.
Mentre rispondeva, Wanda si toccava[...]

[...]posto. « Perché dovrebbe saperlo ? ».
« Sa » ha spiegato, « sono preoccupata... Oggi non è facile trovare lavoro ».
« Dove lavora ? » le ho chiesto.
« Al bar Corallo, in via Po... Faccio la cassiera ».
« Stia tranquilla, signorina » le ha sorriso il maresciallo.
Se n'é andata lanciandomi un altro sguardo lungo. Io sono andato a guardare il verbale e ho letto l'età : ventisei anni. Porzio mi ha detto : « Vedesse che tipo, il fidanzato... ».
La sera sono andato al bar Corallo. Appena mi ha visto Wanda mi ha sorriso con sicurezza, come se si aspettasse la mia visita. Subito ha chiamato il proprietario e me lo ha presentato, dicendogli con affettazione la mia professione. Il proprietario s'é inchinato, poi ci ha lasciato soli.
Wanda mi ha chiesto se il fidanzato era in carcere. Le ho detto che credevo di si, a disposizione dell'autorità giudiziaria; ma che presto sarebbe stato rimesso in libertà. « Con questo freddo... » ha detto lei ridendo. Ha sbagliato due volte nel dare il resto agli avventori, e quando quelli le hanno fatto notare l'[...]

[...]di là. Poi mi sono messo a passeggiare per il corridoio. Frattanto s'era fatta notte, nessuno aveva acceso le luci, e il duplice pianto risuonava per tutta la casa. Ho pensato che la cosa migliore era uscire, prendere aria. Ma quando sono arrivato al portone ho capito che non avrei potuto continuare a vivere in quel modo. Sono tornato a casa. Mia madre era distesa su un divano. Le ho detto subito di far preparare da Giuseppina la mia roba, e che la sera stessa me ne sarei andato via. Mia madre non mi ha risposto, io sono uscito. Sapevo che quella sera Wanda cominciava a lavorare alle sei, e alle sei meno dieci ero davanti al bar.
AVVENTURA DI UN COMMISSARIO 119
Poco dopo l'ho vista arrivare, col passo stanco e un vestito più corto. Non aveva l'aria di disappunto che mi aspettavo. Mi ha detto che era rimasta male, ma sorridendo, come se parlasse di un'altra. Le ho fatto le mie scuse. « Tu non c'entri » ha detto lei, « tua madre vuole che tu frequenti le signore... e poi deve avermi giudicata male ». Io le ho detto che mia madre era nevrotica, lei forse non ha capito la parola e mi ha detto « non parliamone più ». Poi é entrata nel bar.
D[...]

[...]etto che mia madre era nevrotica, lei forse non ha capito la parola e mi ha detto « non parliamone più ». Poi é entrata nel bar.
Dall'ufficio ho telefonato ad un albergo secondario del centro ed ho prenotato una stanza. Poi ho mandato un agente a casa a prendere la mia roba. Gli ho ordinato di portarmi le valigie ad un bar prossimo all'ufficio, per evitare che mia madre potesse strappargli il mio indirizzo. Alle nove sono andato in albergo. Quella sera non ho avuto voglia di vedere Wanda, e sono andato al cinema.
Nei giorni successivi ho continuato a vederla, ma non ho potuto portarla in albergo: anche a voler vincere la prevenzione, avevo già mostrato la mia tessera di funzionario quando c'ero andato, giacché non avevo altri documenti addosso.
Wanda è venuta spesso a prendermi in ufficio, in quei giorni. Una volta l'ho trovata che chiacchierava con Porzio, nell'anticamera. Lei era addossata al muro, Porzio le stava assai vicino e le parlava in una maniera ad un tempo ammiccante e languida, da corridoio di treno. Appena mi ha visto si é f[...]

[...]armi se il riscaldamento, dove mi trovavo, era sufficiente; al massimo accennava a qualche novità, che per solito riguardava i parenti: sua cugina s'era aggravata, zio Alfonso era stato fatto commendatore. Per la sicurezza che le traspariva dalla vo
AVVENTURA DI UN COMMISSARIO 121
ce, e per l'astensione da qualsiasi tentativo di carpirmi l'indirizzo, mi pareva che stesse ordendo fiduciosa una qualche insidia per riavermi. Ma non me ne curavo.
La sera, adesso, dall'ufficio uscivo un po' prima. A casa trovavo Wanda che mi aspettava ascoltando canzonette alla radio, tenuta a pieno volume. Mi cambiavo, poi uscivo con lei. Andavamo al cinema, o a passeggio per il centro, o a comprare biancheria. Al cinema. Wanda mi spingeva sempre verso il fondo della sala. Mi abbracciava, ma nei momenti salienti del film ritornava composta. Mentre camminavamo per le strade del centro mi tratteneva davanti alle vetrine dei negozi, era allegra e m'indicava ad alta voce gli oggetti esposti. Molti la notavano, e spesso mi arrivavano parole salaci.
Un giorno mi h[...]

[...]detto anche che allora c'erano gli Americani, e il Corso sembrava un campo di battaglia. Una sera un negro le aveva tirato le trecce con forza, aveva aspettato che piangesse ed era scappato. Il padre e la madre in quel periodo non si curavano affatto di lei. Il padre era disoccupato, e vendeva pane e sigarette al mercato nero di Tor di Nona; la madre procurava ragazze ai soldati stranieri, e trafficava nelle cucine dei campi militari. Sicché lei la sera si comprava qualche cosa e mangiava sola. Poi cadeva sul letto, abbattuta dalla stanchezza. La mattina, quando si alzava, il padre e la madre erano usciti; qualche volta non li vedeva per una settimana.
Spesso ci aiutavamo a farci la doccia, e lei mi vezzeggiava. Dopo di avermi asciugato mi cospargeva tutto il corpo di talco; « come ai bam
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bini » diceva. Quando non uscivamo, la sera mi sdraiavo sul divano del soggiorno, lei attendeva alla cucina o rassettava la stanza da letto (era molto meticolosa nel pulire e lucidare). Ogni tanto veniva a sedermi accanto, e qualche volta mi parlava di Lucio, il fidanzato (che era ormai a piede libero), del bene che gli aveva voluto. Aveva saputo dal garzone del bar Corallo che lui la cercava per tutta la città. « E un mascalzone » diceva, « ma mi fa pena ». Io le facevo domande: dove andavano a fare l'amore, con che frequenza lo facevano, se andavano spesso al cinema, e a ballare. Lei qualche volta mi rispondeva, per esempio che l'amo[...]

[...]o, e qualche volta mi parlava di Lucio, il fidanzato (che era ormai a piede libero), del bene che gli aveva voluto. Aveva saputo dal garzone del bar Corallo che lui la cercava per tutta la città. « E un mascalzone » diceva, « ma mi fa pena ». Io le facevo domande: dove andavano a fare l'amore, con che frequenza lo facevano, se andavano spesso al cinema, e a ballare. Lei qualche volta mi rispondeva, per esempio che l'amore lo facevano in campagna la sera, se non faceva troppo freddo, oppure che ai films e al ballo Lucio preferiva le pizze; ma talaltra volta mi guardava storto, chiaramente indignata per quella curiosità. Che non era, malsana, giacché quelle domande erano mosse da un sentimento di affetto, ed erano dirette ad inquadrarla, a capirla meglio.
Una volta prese lei l'iniziativa: come per scolpare Lucio, mi disse che non era stato lui a cominciarla all'amore; la scusassi, la sera della nostra prima uscita mi aveva detto una bugia. Era stato invece un capitano francese, quando lei aveva tredici anni e Roma era ancora occupata. L'aveva fatta salire nella sua stanza del « Plaza », adducendo che la moglie aveva bisogno di uno shampoing. Ma la moglie non c'era, forse non esisteva, e lui le aveva strappato una gonna proprio bella, comprata il giorno prima.
La maniera tranquilla nella quale Wanda ricordava il suo passato, che mi si offriva esatto e senza veli, mi aiutava a svincolarmi dal passato mio. Ne risultava una grande libertà: sempre di più si dileguava la paura di v[...]

[...] in questo caso avrei dovuto lasciar decidere a mia madre tutta la mia vita. Avrei dovuto scegliere una moglie fra le scimmie sue amiche, imbarcarmi in un viaggio di nozze. disporre un apparato domestico acconcio alla nuova condizione, sostenere lugubri visite domenicali, rispettare obblighi e doveri. Tanto valeva, allora, continuare a far perno sulla vita con Wanda, restare al cimento del concubinaggio, per tentare ancora una qualche riscossa.
La sera, ho mostrato a Wanda la lettera. Lei, che stava lavando le mie camicie, s'é subito asciugata le mani e l'ha letta con molta attenzione. « Decidi tu » ha sorriso dopo. Io ho ostentato serenità, e ho ribattuto che non avevo niente da decidere: ero andato via di casa, e basta. Casomai avrei visto — ho aggiunto — di rimettermi con mia madre in rapporti normali. K Fai bene » ha detto lei, e mi ha restituito la lettera. Poi, fat
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tasi improvvisamente seria : « Ma senti un po' » ha soggiunto, « perché me l'hai fatta leggere? ».
In una mattina molto limpida, della pr[...]

[...]re in ufficio, o che ho sonno, o che debbo lamentarmi con la serva perché le camicie sono stirate male.
Adesso, mi trattengo in ufficio più del solito e cerco di allargare i miei interessi, perché se ne giovi la carriera. Pare che nessuno sia venuto a conoscenza dei miei casi, e questo è assai importante. Con Porzio, corrono i rapporti di sempre; sebbene, una tal quale maggiore rigidità, da parte mia, stia agevolando lo svolgimento del lavoro.
La sera, vado spesso al cinema. Se non esco, mi faccio cocktails di frutta col frullatore, e leggo romanzi gialli. Ho anche comprato un fonografo, e alcuni dischi di canzoni. Ogni tanto li ascolto, mi prende uno struggimento breve e penso a Wanda, che fa all'amore chissà con chi.
RAFFAELE CRIVARO



da Franco Cagnetta, Inchiesta su Orgosolo. Parte terza: Vita di Giuseppe Marotto pastore orgolese in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1954 - 9 - 1 - numero 10

Brano: [...]sani: quando abbiamo preso i peperoni li abbiamo rovesciati di fronte al Capitano. Fu uno scandalo, il Capitano fu sorpreso e divenne lui come un peperone, cercò di fermarci con minaccie, ma fu accolto da una reazione generale che tutti, oltre al buttare i peperoni si lanciarono rovesciando la marmitta, e al posto dei peperoni venne messo il Capitano, e portato in braccio per un pezzo.
La domenica siamo andati a Roma in permesso e, al rientrare la sera, ci é capitato di assistere ad una specie di dialogo tra due sergen
tini firmaiuoli, uno dei quali si vantava di aver reso buoni servigi alla patria di Mussolini, di avere dato prova contro i Partigiani, e che
adesso era stato chiamato a domare «quei farabutti di sardi », che si erano permessi di picchiare il signor Capitano. La sera vennero informati tutti i compagni di questo nuovo comandante che ci avrebbe dovuto stangare. La mattina dopo ci fu presentato come il futuro capo
INCHIESTA SU ORGOSOLO 245
e che per ciò ci dovevamo obbedienza e rispetto. — Avanti, marciate pochi metri a passo — ci ordinò subito. La corsa, nonostante un tale ordine fu ripetuto diverse volte a voce alta, andò a vuoto. Tutti si era, d'accordo per non eseguirlo. Il sergentino andò in bestia, ordinò l'alt e ci apostrofò con minaccie di essere il comandante, e, che se un prossimo comando gli veniva disubbedito, ci avrebbe fatto correre fino a cr[...]

[...]ato lanciò la sfida: chi non vuole correre alzi la mano. La alzai per primo, poi seguirono i miei paesani che portavo al fianco. E mi chiese con rabbia: — Tu perché non vuoi correre? «Per dimostrargli che questi farabutti di sardi — come lei ha voluto chiamarci ieri sera — non sono affatto disposti a farsi prendere per il naso da leccappiatti come lei, che fino ad ieri ha fatto buon servo a Mussolini ». Nel sentirsi ripetere le frasi pronunciate la sera prima perdette le staffe e rinunciò ad affrontare il comando. Dopo avermi minacciato che mi denunciava ci piantò li e corse in caserma a chiamare il Tenente. Quando rivenne con il Tenente era un lupo sdentato, non mordeva piú: non ebbe nemmeno il coraggio di aprir bocca quando il Tenente chiese perché ci rifiutavamo di eseguire gli ordini del sergente che era un brav'uomo. Fu accolto da un grido generale: « Non lo vogliamo! Non vagliamo essere comandati dai fascisti! ». Il sergentino fu messo in riposo. La sera siamo rientrati un po' in ritardo con un compagno di Fonni e, mentre ci mettevamo [...]

[...]o. Dopo avermi minacciato che mi denunciava ci piantò li e corse in caserma a chiamare il Tenente. Quando rivenne con il Tenente era un lupo sdentato, non mordeva piú: non ebbe nemmeno il coraggio di aprir bocca quando il Tenente chiese perché ci rifiutavamo di eseguire gli ordini del sergente che era un brav'uomo. Fu accolto da un grido generale: « Non lo vogliamo! Non vagliamo essere comandati dai fascisti! ». Il sergentino fu messo in riposo. La sera siamo rientrati un po' in ritardo con un compagno di Fonni e, mentre ci mettevamo in branda, un tipo del Logudoro, che faceva il lavativo ed era sempre schifato, ci intimò con tono minaccioso di stare zitti. Per il modo che si atteggiò, ci siamo messi a ridere. Costui si alzò e tirò una scarpa in faccia al fonnese. Io, che gli stavo a fianco, gli detti una schiaffo e si mise a piangere. Il sergente ci venne subito incontro e, vedendolo scorrere di sangue, chiese: « Chi é stato? ». Avendogli indicato che ero io, il sergente mi apostrofò con ingiurie come mascalzone, ecc. Ma fu presto messo a t[...]

[...]ci della compagnia dimostrativa, tutti si astennero dal presentarsi all'adunata e, come poi seppi dall'avermi scritto in seguito, quel giorno stava per essere fatale a un maresciallo. Ad una delegazione presentatasi al Capitano per protestare contro il mio allontanamento, quel maresciallo, non richiesto, diceva che io ero un tipo nervoso, che tutti gli orgolesi, in genere, non sanno controllare i nervi, ecc. ecc. Per il momento fu risparmiato ma la sera, rientrando, tutti lo videro con i due occhi gonfi.
INCHIESTA SU ORGOSOLO 247
Il viaggio per il Piemonte mi colse molto preccupato per quel distacco dai paesani, ma, d'altra parte, mi confortava la bramosia di vedere l'Italia, di conoscere quella brava gente piemontese e d'Alta Italia che avevo sentito apprezzare come civile e ospitale. Rimasi molto perplesso nel vedere le rovine seminate dalla guerra, fui addirittura sconvolto ed atterrito nel vedere paesi rasi completamente al suolo e i pochi abitanti scampati alla morte che si aggiravano nelle fermate del treno, dove prima c'era la stazi[...]

[...]mmedia » che avevo letto in rima quegli argomenti, pressappoco, del Bolognese. Ingenuamente dissi se questa unità era scritta in sardo o se non era « Sa mundana cummedia » in Bolognese. Rimase sorpreso e mi guarda in faccia per vedere se volevo sfotterlo. Ma la mia sincerità lo indusse a spiegarmi che era un giornale Comunista. Mise la mano in tasca, tira fuori una copia e disse: «Leggila ». Rimasi a leggerla con grande sforzo e attenzione tutta la sera e, meditando, quella fu la prima scoperta del mondo politico. Da quel giorno io cercavo di leggere, di studiare, per fame del mio spirito, e, attraverso pensieri e ragionamenti a me prima sconosciuti, cominciavo a rafforzare e piú nutrire quell'ideale di fratellanza umana che già « Sa mundana commedia » mi aveva indicato. Cambiai metodo, da allora, con i litigi che, per difendere la Sardegna, finivano sempre a
cazzotti perché non avevo argomenti seri contro gli avversari
e, da allora, dicevo che se la Sardegna era « pecoraia » e « terra bruciata » non era colpa dei pastori e dei sardi, ma[...]

[...]tro toccandomi le catenelle che già mi mordevano i polsi perché troppo strette. E con la faccia del padrone, disse rivolto ai carabinieri: « Chi ha messo queste manette? ». Scattando come una burba il capo scorta disse: « Io, signor capitana ». Il capitano, sghignazzando, con uno strillo disse: « Sono troppo larghe P. Per questa volta ti dò 5 più 3. Di rigore ». Lo interruppi dicendo che mi avevano preso dal lavoro, che ero un cittadino onesto.
La sera stessa fui condotto al carcere mandamentale di Sorgono (quello di Nuoro era troppo pieno), e mi chiusero in una cella e vi fui 3 giorni senza interrogato, che non mi davano acqua o pane, al terzo giorno, quasi sfinito dalla fame, dalla sete, cominciai a gridare, finché non mi hanno tirato fuori. Mi condussero in ufficio dal mare
252 FRANCO CAGNETTA
sciallo, che mi interrogò su una rapina avvenuta tempo prima nella foresta di Urzulei, e disse che il giorno ero stato visto nel Sopramonte con la banda di Liandru, latitante. Risposi che Sopramonte era più di un anno che non passavo, e che se so[...]

[...]e, nemmeno acqua ». E che volevo sapere se mi avevano portato per motivi di giustizia o per farmi morire di fame. Ordinò che mi fosse dato subito da mangiare e, dopo mangiato, mi tradusse in una camionetta; e siam partiti con il tenente e due marescialli per riportarmi a Nuoro. Le varie domande rivoltemi in viaggio per i banditi e per le rapine finivano in argomento politico. « Tu sei un comunista » dicevano. « Evviva il Comunismo! » dicevo io.
La sera mi lasciano a Nuoro e il giorno dopo ripartono per Urzulei. Diceva il tenente: « C'é uno che ti dirà di averti visto il giorno della rapina con Liandreddu, un altro latitante » . Rispondo che era soltanto un agente infame, ben pagato dagli anti comunisti. « Non puoi dire . ciò. È una persona seria ». Difatti, appena arrivati inviano a cercare una guardia di foresta, un certo Capra, che nulla sapeva nei miei confronti. Ed io ho pensato che si stava cercando ora, di giustificare il mio arresto. Il Capra si trovava in casa, quando i carabinieri lo avvisarono di venire alla caserma; ma la moglie [...]

[...] la moglie — allarmata come tutto il paese dell'arrivo di un borghese sconosciuto, con la macchina dei carabinieri, che pensavano trattarsi di qualche spia in
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INCHIESTA SU Or,GOSDL0
cerca di accusare qualcuno, chi sa perché (come spesso fanno i carabinieri) — disse che ìl marito non era in paese. Lasciarono l'ordine, appena rientrato, di andare in caserma, ma costui si dette alla macchia e rimase più di 15 giorni senza rientrare in paese. La sera venne un capitano e, con finzioni di gentilezza, dicendosi da poco ospite della Sardegna, e trovandosi molto seccato per lo stato primitivo e l'arretratezza delle campagne sarde — massime i contadini che non conoscevano ancora la trebbia — mi osservò con rammarico che il male peggiore della Sardegna erano i banditi: rapinatori di strada che erano ragazzi di Orgosolo: ed io dovevo ben conoscerli. Risposi che ero un lavoratore onesto, che per la peste suina avevo perso i maiali e perso i1 lavoro per tre anni, che mi trovavo disoccupato. Ma che per nessuna cosa al mondo avrei fatto questo atto s[...]

[...]ati: si rivolgevano a me pregandomi di occuparli come fossi un impresario e non uno scioperante. Rispondevo che noi avevamo scioperato per essere occupati, e che tutti i disoccupati avevano diritto a scioperare. Ed ecco che un'altra ventina si misero in isciopero, ma ci fu l'intervento dei carabinieri che li tradussero in caserma. Visto, ció abbiamo subito abbandonato tutti il lavoro, e ci siamo recati con gli attrezzi in caserma dove, per tutta la sera, abbiamo rivendicato il rilascio degli innocenti lavoratori. Il Sindaco, che prima aveva autorizzato l'arresto, fu costretto dalla pressione popolare ad autorizzare rilascio. Ma il maresciallo rifiutó dicendo che aveva già spedito il rapporto, e così furono tradotti al carcere di Nuoro. Rilasciati poi, per inconsistenza di reato, una settimana dopo.
La reazione popolare contro il Sindaco e il Maresciallo divenne paurosa, mentre la simpatia per noi si aumentava ed i proprietari del paese, cioè i nemici del Progresso e della Pace, divenivano furibondi.
256 FRANCO CAGNETTA
D'accordo col mares[...]

[...]contenti, perché facevamo una strada che era stato il sogno, irrealizzato, di tutti i nostri antenati. Io facevo il caposquadra e un giorno mi feci sostituire perché dovevo andare alla vigna. Ed il giorno vennero una diecina di macchine ed arrestarono tutti gli operai. Nel paese ciò suscitò indignazione ed il Sindaco chiese, anch'egli, le dimissioni. Io, quando venni dalla vigna e appresi la notizia, mi mordevo le dita per non essermi trovato, e la sera, dalla rabbia, mi venne pure la febbre. L'indomani tornai al lavoro con altri due — aspettavo che mi arrestassero — e invece, no, verso le 10 vennero i carabinieri e mi chiesero le generalità. Dissero che questa era una buona opera, e non mi arrestarono.
Dopo una diecina di giorni i lavoratori furono rilasciati: ma ne uscirono disperati per le condizioni di miseria ed oppressione a cui volevano sottometterci. Gli attrezzi di lavoro non ci furono mai restituiti, malgrado le continue richieste, e si può dire cioè, rubati. Io fui denunziato per ammutinamento.
La situazione in paese diventava s[...]

[...]nsi, era insopportabile. Ed allora, dopo 10 giorni di buona condotta uno poteva inoltrare domanda al Signor Direttore per il passaggio in casa privata, che il confinato po
INCHIESTA SU ORGOSOLO 259
teva cercarsi dietro pagamento. E conce fare per vivere e pagare la stanza con 4500 lire al mese? Bisognava arrangiarsi, diceva la Questura: lavoro non ce n'era; se qualcuno lo prendevano a zappare ed a custodire le mucche, lavorava dalla mattina alla sera e gli davano 50 o 100 lire al giorno, quando il Signor Direttore gli concedeva il permesso: dato che questo era un privilegio non tutti lo potevano ottenere.
Questo é il confino di Pubblica Sicurezza che D. C. e missini vogliono mantenere nella Repubblica Papale Italiana. Considerando che quasi tutti i confinati, nell'infame verbale che costituisce la causa del confino, vengono condannati come «oziosi, vagabondi », si pensi che il confino, invece di condannarli al lavoro li condanna solo all'ozio!
Io riuscii a sistemarmi in una casa con altri due paesani. Abbiamo preso in custodia un gregge[...]



da Saverio Montalto, Memoriale dal carcere in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1953 - 7 - 1 - numero 3

Brano: [...]a denti stretti, hanno acconsentito. Momentaneamente, visto e considerato anche che si tratta di pochissima vendita, ci starò io ed Iva, perché Iva, come sai, mi vuole molto bene, ed anche a te, del resto, e son sicura che farà come le dico io. Io verrò da te ogni dopo pranzo per aggiustarti la casa e finché tu mi vuoi. Se poi hai bisogno urgente mi manderai a chiamare che lascio ogni cosa e verrò a qualunque ora. Tu verrai a sederti nel negozio la sera, quando non avrai a che fare; è vero che verrai? e così staremo sempre assieme come prima».

Dopo alcuni giorni se ne andò definitivamente a stabilirsi nel negozio. Tutto ciò che apparteneva a loro non c’era più ed anche Giacomo e Rosa erano andati via. Eravamo rimasti io e lei. Il sole stava per tramontare e lei si attardava ancora perché non era capace di distaccarsi. Né io avevo la forza di dirle: vattene! Ma ad un certo punto capimmo entrambi che non si poteva più rimandare ed allora lei attaccandosi con forza al mio collo si mise a singhiozzare. Anch’io singhiozzavo. Ogni tanto ripetev[...]

[...]dere notorio che li ho riferiti io, giacché a dire il vero, mentre li racconto mi assale un sacro terrore. La Giustizia del resto non sa niente della gente della famiglia Armoni perché se sapesse qualcosa, son certo, non si meraviglierebbe più di questo mio sacro terrore.

Dopo un certo tempo e quando il Lorenzo aveva conseguito già la licenza normale mi vidi arrivare in casa Giuseppe Panetta sarto. Si sedè e mi raccontò più morto che vivo che la sera avanti mentre la famiglia Armoni era in chiesa (perché mia suocera ed il resto della148

SAVERIO MONTALTO

famiglia sono assai devoti e pii, a modo loro, s’intende) il Lorenzo aveva attirato in casa una bambina di circa nove anni del Panetta ed aveva sfogato su di lei la sua libidine. Il Panetta aveva chiamato un dottore del luogo per far visitare la bambina, però non c’era stato alcun danno. Ma il Panetta si era rivolto lo stesso al Maresciallo e questi gli aveva detto di esporre regolare denunzia che poi ci avrebbe pensato lui. Allora io pregai e scongiurai il Panetta, dato che non c’e[...]

[...] anche da loro ed a caro prezzo. Con questa occasione seppi anche che mio suocero, oltre a dormire giù in un basso di casa come

il servo, mentre mia suocera sù a parte da principessa, mangiava e beveva anche a solo. Seppi anche, circa un anno fa dal cav. Giuseppe Levantino, che mio suocero aveva sparsa la voce che l’orto l’aveva dato a me per dote quando m’ero sposato con la figlia.

Si era arrivati così verso la fine del 1935. Io mi recavo la sera sempre da mia sorella però da qualche tempo a questa parte la vedevo più triste del solito e che si riduceva sempre peggio anche fisicamente dato che allattava ancora la seconda bambina. Gli affari del negozio andavano bene principalmente per opera sua, giacché sapeva accogliere con le buone maniere i clienti giusto come l’avevo consigliata io, tanto vero che un giorno di quelli era ritornato per acquisti il cav. don Giacomo Tavella dopo un certo tempo ed aveva esclamato: «Ma qui avete fatto proprio cose da pazzi in pochi anni! ». E poi anche i vicini amavano e stimavano molto mia sorella, pe[...]

[...]oro sono aristocratici ed io sono figlia di gente bassa e di pezzenti, che non ho portato dote, perché per un giovane come lui dovevo almeno almeno portare centomila lire; loro poi sono le più oneste e tutte le altre compresa io sono tutte prostitute. Figurati che non potendo dire altro, hanno detto che tu vieni nel negozio perché ti faccio da mezzana per Grazietta Morabito, solo perché hanno visto che qualche volta è entrata qui. Ti ricordi quella sera quando mio marito venne cogli occhi stralunati? Menomale che ha trovato Grazietta sulla porta altrimenti sarebbe stato capace di fare non si sa che cosa. Così ho paura di parlare anche con i vicini e devo inimicarmi con tutti come sogliono fare loro».

«Sai che fai Anna? Cerca di evitare quanto puoi perché col tempo, quando sarete soli tu e tuo marito, si spera che cambierà questa situazione. Per ora soffri in silenzio! ».

« Peggio! L’altro giorno la suocera mi ha detto tante che mi vergogno anche di dirle; neanche i facchini della stazione. In ultimo se la pigliò anche con nostra madre [...]

[...]to, non devono pretendere più nulla da me, comprese le trecento lire al mese che vi ho date fino adesso, perché ormai col negozio che è a buon punto e col fratello Lorenzo che sta all’Africa potete vivere, facendo un po’ di economia, s’intende, abbastanza bene».

« Certo, ormai, queste cose le devono capire anche loro ».

« Ah! Dimenticavo di dirti che la cosa essenziale è che sua madre non dovrà comparire mai in casa mia e neanche in chiesa la sera del matrimonio. E su ciò non transigo in modo assoluto! ».

«E se non accettano?».

« Allora il matrimonio non si fa ».

« E se Giacomo mi domanda perché non sposi la grande? ».

« Gli dirai che non sposo la grande perché non mi va il suo carattere e che non sposo Elena per la stessa ragione. Del resto potrei sposare tutto al più una donna con trenta o quaranta mila lire di dote. Sarebbero tante e tali, le pretese che sto certo che non basterebbero neanche per mettersele addosso. Mi conviene allora sposare Iva con la camicia, perché so che non può avere nessuna pretesa e che faccio un[...]

[...]nne mia sorella e mi aggiustò il letto e mi rassettò la casa. Poi piangemmo a lungo assieme, mi baciò ripetutamente ed andandosene mi disse : « Ora ci vediamo domani dopo mezzogiorno ».

«Perché; stasera non vieni?».

« No; perché Giacomo dice che dato che non viene nessuna delle donne, non debbo venire neanche io».

«Sta bene! Sia fatta la sua volontà!».

« Ma tu verrai lo stesso quando esci da me? ».

«Verrò! Dove vuoi che vada?».

La sera assistettero alla cerimonia in chiesa Giuseppe Larussa, il sacerdote don Paolo Canale, l’Arciprete ed il sagrestano di cui non si poteva farne a meno e tutti gli uomini presenti della famiglia Armoni. Mi accompagnarono anche a casa e poi subito se ne andarono. Così passò la mia giornata di nozze.

Dopo alcuni giorni che fui sposato, tenni questo discorso a mia moglie: «Ascoltami Iva! Come sai ancora io mi trovo con debiti e perciò per il momento dobbiamo fare la massima economia ed arrangiarci come si può. Significa che in seguito quando ci troveremo meglio, poi, se dobbiamo fare qualche sp[...]

[...]son sicura che non mi lasciano venire più da te. E poi se non vieni tu con chi vuoi che io passi le feste? Con loro? Con loro e cogli estranei è tutt’uno! E poi, dato che tu non devi pensare più per le spese del pranzo, come una volta, in verità, ce ne hanno molto piacere, specie Giacomo, perché a te son sicura che ti voglionoMEMORIALE DAL CARCERE

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bene ed anche per dimostrarti che ora che spendono loro ti desiderano più di prima ».

La sera di quel Natale dopo cena venne un certo mastro muratore Pierino Lombardia con la famiglia, il quale stava riadattando la casa degli Armoni e così ci mettemmo a giocare a nocciole tutti quanti, tranne dei fratelli maggiori di mia moglie che si trovavano già fuori per i fatti loro. Ad un certo punto mia sorella aveva perduto tutte le nocciole e disse di non volere giocare più. Mia suocera allora adirata se ne uscì con queste parole : « Giuoca, pezzentona scostumata! ». Io a queste parole rimasi interdetto anche perché c’era la famiglia del Lombardia ed alzandomi dissi di non volere giocare più [...]

[...] I

Verso le undici andai da mia sorella e| t trovai alzata che si stava accomodando le cose sue personali in una cassetta e decisa di andarsene via anche senza la sua bambina. Le atrocità le avevano fatto perdere anche l’istinto della maternità così vivo anche nelle bestie. In alcuni momenti si fermava e guardava forsennata. Io tentai un ultimo supremo sforzo ed andai giù di nuovo per scongiurare mia suocera ed umiliarmi ancora una volta come la sera avanti. Ma mia suocera tenne sempre duro. Salii di nuovo sopra e vidi mia sorella seduta sulla cassetta che si teneva la fronte con ambo le mani ed il marito all’impiedi vicino alla finestra. Mia sorella come mi scorse, sollevò la fronte ed esclamò: «Non credevo mai che avrei dovuto essere una donna così disgraziata dopo avere tanto amato! ».

In questo mentre entrò mia suocera dicendomi: «Per questa volta accondiscendo per voi! Ma solo per voi! Per l'avvenire si vedrà! » si vede che aveva annusato il pericolo per la figlia e non certo per miaMEMORIALE DAL CARCERE

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sorella, giacch[...]

[...]o, la lasciavano morire di fame e non solo che mia sorella doveva morire di fame, ma doveva star zitta, benché lei non dicesse mai niente a nessuno, compreso me; ma loro sospettvano che dicesse perché si sentivano l’anima macchiata. E difatti io lo seppi in seguito quando un giorno mi disse: «Guarda, ora dicono che bisogna fare economia ed io approvo; però l’economia la debbo fare solamente io, perché loro mangiano e bevono meglio di prima ed io la sera debbo accontentarmi con pane ed olio se lo voglio; altrimenti172

SAVERIO MONTALTO

nessuno si preoccupa se mangio e se bevo compreso mio marito, il quale non mi domanda mai se son viva o morta. Sì sì; la sera mi ritiro e trovo solamente una goccia d’olio nella bottiglia ed un pezzo di pane che mi porto io stessa dal negozio. Tanto per dirti una, l’altro giorno hanno comprato un pesce di circa due chili: hanno mangiato tutti a mezzogiorno ed alla sera ed inoltre la madre ha conservato un po’ per la figlia più piccola, perché sennò si sciupa la bellezza, per il giorno appresso ed a me non mi hanno fatto sapere niente. L’ho saputo poi da Rosa, perché come sai Rosa ora è grande e capisce tutto. L’altra sera sai che cosa mi ha spiattellato il professore? Io mi ero ritirata stanca e lui si mise a scherzare con me all’uso dei carrettieri. Io un po’ seccata gli ho detto: “Voi, caro cognato, avete mangiato, ma io ancora debbo mangiare e se voglio c’è un po’ di pane ed olio!”. Lui allora mi ha risposto: “Ed io ho mangiato carne e pasta! Desiderate [...]

[...]sapevo più in che mondo mi fossi.

Dopo qualche giorno venni nella determinazione di dire a mia sorella che se, oltre al marito, qualcun altro della famiglia Armoni si fosse permesso di alzare mano su di lei, di venirsene immediatamente da me che ci avrei pensato io ad avvisare il maresciallo dei carabinieri.

Al ritorno da Milano mio cognato Lorenzo se ne venne in famiglia con un giovanotto suo amico che un tempo abitava a N... Quando

io la sera uscivo con la motocicletta il giovanotto e mio cognato Lorenzo andavano in casa mia a prendere il caffè; non solo, ma avendoli invitati di venire da me quando c’ero io, mi promisero di sì, ma poi non vennero. Io siccome conoscevo bene la moralità di mio cognato Lorenzo, tacevo e mi rodevo dentro. Un giorno che feci presente a mia moglie che ciò non istava bene, lei negò dicendo che durante la mia assenza non era venuto mai nessuno. Io allora tacqui, perché ormai avevo paura non solo di loro, ma principalmente di mia moglie, la quale ormai aveva presa l’abitudine di minacciarmi coi fratelli e [...]

[...]na e con il pranzo preparato da me. Da mia sorella non ci potevo andare, perché avrei suscitate delle reazioni poco piacevoli non solo da parte di mia moglie ma anche dei presenti in N... della famiglia Armoni; né mia sorella poteva assolutamente venire da me dato che mia moglie in ispecie non voleva più vederla affatto e se la serva si permetteva in quel tempo di portare qualche nipotina in casa mia, aveva poi di che buscarne quando io mancavo. La sera della vigilia di Natale ricordandomi del detto di Salomone che diceva: «Agli uomini che soffrono date da bere perché così dimenticano per un poco le loro miserie», benché in genere non bevessi, bevvi quasi una bottiglia di vermouth, mi stordii e mi coricai vicino a mia moglie, giacché ormai si era imposta da tempo che dovevo dormire nel letto matrimoniale ed io lo facevo per evitare maggiori guai e complicazioni.

Dopo il Capodanno ed anche prima e fin quasi verso il maggio dovevo vedere fra i piedi per uno, due giorni di ogni settimana l’insegnante Lorenzo che scendeva da C... e veniva a m[...]

[...] perché non sa sopportare il peso dell’onestà, dappoiché, data la loro pochezza di mente, non immaginano neanche la vera gioia che dà l’eroismo ed il sacrificio. Ed è bene che sappia mio cognato che è questa la vera ragione per cui gli eroi e le donne oneste sono stati sempre pieni di bontà, perché bontà è anche sinonimo di comprendonio e d’intelligenza. E solo così mi posso spiegare ora la malvagità dei gangsters e delle prostitute e perché quella sera del 17 novembre mio cognato Giacomo di fronte al pericolo si rivelò vero gangster, e cercò di salvarsi, facendosi scudo di sua moglie e di sua sorella. Ma io, ripeto, in quel momento, non ero più io e quindi non potevo pensare, come la penso ora, la sua vera indole ed intenzione; né ero più in condizione di poter vedere chiaro fisicamente, giacché vedere chiaro coll’occhio fisico significa vedere chiaro coll’occhio chiaro della mente; ed ecco propriamente la vera ragione per cui mi trovo ora nel baratro profondo in cui mi trovo. Saverio Montalto

Direttore responsabile: Alberto Carocci Iscr[...]



da Angelo Muscetta, Memorie del cavaliere Angelo Muscetta in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1964 - 7 - 1 - numero 69

Brano: [...]aveva negozio di tessuti e siccome questa sorella di mia madre non aveva figli, pensò bene mia madre non pagarglielo più: pagò,, s'intende, solo al sarto, pochi soldi. Descrivervi la moda della confezione è inutile, ricordo solo questo, che le mani si affaticavano per trovare le tasche, e dimenticavo dirvi che la stoffa [non era] di marca Made Englis ma semplicemente cotone cécere, qualche cosa come le tute dei muratori moderni. Però ero felice, la sera frequentavo la casa di un lontano parente di mia madre, calzolaio, e con suo figlio mio cugino, imparai qualche cosa, però ero retribuito bene, avevo 12 soldi. La domenica al giorno (1) quando tornavo dal mercato di Caiazzo ed insieme a mio cugino si usciva a fare qualche passeggiata, ed in tempo di stagione estiva, prendevamo lo spumone dell'epoca, e cioè 1 soldo quattro
(1) Di pomeriggio
MEMORIE DEL CAV ANGELO MUSCETTA 55
giarrette di neve zuccherato, con colori variopinti, anche se non nocivi (I), e dalla sera, specie d'inverno, al Teatro dell'Opera ossia l'Opera dei pupi. Quando avevam[...]

[...]o, e con suo figlio mio cugino, imparai qualche cosa, però ero retribuito bene, avevo 12 soldi. La domenica al giorno (1) quando tornavo dal mercato di Caiazzo ed insieme a mio cugino si usciva a fare qualche passeggiata, ed in tempo di stagione estiva, prendevamo lo spumone dell'epoca, e cioè 1 soldo quattro
(1) Di pomeriggio
MEMORIE DEL CAV ANGELO MUSCETTA 55
giarrette di neve zuccherato, con colori variopinti, anche se non nocivi (I), e dalla sera, specie d'inverno, al Teatro dell'Opera ossia l'Opera dei pupi. Quando avevamo il borsellino pieno, prendevamo i primi posti, 2 soldi. Ero felice.
Le cose andavano maluccio, il capitale di mio padre andava assottigliandosi, e ricordandosi che a Marsiglia vi era un fratello di zio Sabino (che in seguito conoscerete), scrisse mio padre a lui, se emigrando a Marsiglia, potesse trovare lavoro. La risposta fu favorevole, e se non erro, verso la fine dell'anno, pare nell'agosto 1888 (sono in questo momento un poco smemorato), mio padre partí per Marsiglia, ove fu accolto da questo zio, fratello di[...]

[...]orella Maria piú grande, e lo portai a vendere, ricavando una bella sommetta che comprai qualche cosa di somma urgenza per i genitori ammalati. Avevo avuto cura di portare a vendere tale verdura in altro rione per non umiliarmi, però per caso mi riconobbe una donna vicino di casa, e rimase talmente stupita del mio atto (uomo, giovanotto, andare a vendere la verdura il giorno di Natale) che si commosse, che sparse la voce in tutto il vicinato che la sera facevano a gara, a chi. portare piú roba, dal pane ai dolci rituali di Natale. Le mie sorelle man
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giarono con avidità ogni cosa, ma io piangevo ed ero tanto umiliato, che non mi veniva la voglia di assaggiare cibo. Insieme con me piangevano i genitori, però alla sera, dietro loro insistenza, dovetti mangiare qualche cosa.
I giorni dopo il Natale, mia madre si guarí completamente, e nei. primi giorni dell'anno 1890 seguí anche la guarigione di mio padre. Io intanto avevo scritto in Italia allo zio Sabatino, e [a] zia Angelarosa, e ricevetti dopo pochi giorni da entrambi lire 50, che sparirono per incanto, per alimentare i poveri genitori durante la convalescenza. Io intanto al mia principale avevo nascosto ogni cosa, e per la mia assenza giustificai che ero ammalato. Ripigliai il mio servizio, ' ed a furia d'in. vestigazioni, seppe ogni cosa, e mi rimprov[...]

[...]no 12 [correggi: 2] agosto del [1891] sul vapore r« Marco Minghetti » di Palermo] c'imbarcammo, prendendo posto (unito ad altri emigranti, forse pili poveri di noi) in coverta (1). Alle tredici incominciammo a bordo il primo pasto, e si partì alle ore sedici, tempo bellissimo. Salutammo Marsiglia col suo grande porto, e anche il santuario della Bonne Mère (2) della Garde, a cui rivolgemmo una preghiera, perché ci facesse arrivare sani e salvi. Alla sera facemmo il secondo pasto con appetito e tutta la notte fu deliziosa, mare bellissimo, contrariamente a quello burrascoso dell'andata. Col mare bellissimo e con la paura passata del padron di casa di Marsiglia ci sviluppò tale un appetito, che in meno di ventiquattr'ore avevamo esaurito la scorta che avrebbe dovuto bastare cinque giorni. Arrivammo a Genova alle ore tredici del giorno dopo. Fummo avvisati che potevamo scendere per sole quattro ore, e che alle ore diciassette dovevamo trovarci tutti a bordo. Sbarcammo io e mia madre per comprare qualche cosa, ma ci avvedemmo che i generi
(1) Ho[...]

[...]r caso fare il trasbordo (da un ambiente all'altro), offrii in cambio qualunque lavoro, e segnatamente quello del trasporto delle gallette da un punto all 'altro.
Il Capitano si commosse della mia proposta, chiamò un ufficiale addetto alla cucina, e fece aggiungere alla nota [le] cinque persone della mia famiglia. E cosí alle ore dodici io andai a ritirare la minestra in un gran recipiente di latta, la carne, la gallette, e mezzo litro di vino. La sera alle ore diciannove e trenta il medesimo pasto, al mattino caffè per tutti e dieci gallette. La Provvidenza nella sventura veniva ad aiutarci. Occupai il mio posto di lavoro con una sveltezza che solo alla mia età si poteva ottenere, ero ben voluto dal caporeparto, che relazionava a lcomandante il mio zelo e attaccamento al lavoro. Se fossero vivi i miei genitori, potrebbero attestare quanto sto narrando.
La traversata fu bellissima, sviluppando un appetito formidabile; il mare era calmo, tanto che parecchi passeggieri giocavano a tombola. La mattina del 17 [correggi: 6] agosto alle ore nove[...]

[...]edito che veniva estinto appena venduta la merce, ripigliando l'altro. Il lavoro procedeva benino, e si arrivava fino alla provincia di Foggia. Io mi sentivo umiliato guidare quel carretto, ché quando era carico mi toccavo seguirlo a piedi. Non solo. Ma per le salite mi toccavo a tirare, perché il povero somarello non ce la faceva. Eppure ero felice. Per le discese, salivo a cavallo e cantavo sempre, specie quando si avvicinava l'ora del pasto alla sera. In quell'epoca in tutte le taverne si mangiava a pasto, il mezzogiorno e la sera, e si aveva per ogni pasto insalata verde, maccheroni, o pasta e fagioli, baccalà o carne, formaggio, pane e vino senza limiti. Ogni pasto costava soltanto soldi 13. Però io e mio padre, non consumavamo che solo il pasto della sera, saltando quello di mezzogiorno, perché il bilancio non consentiva, e mio padre si era prefisso di farsi qualche capitaluccio proprio, e non essere schiavo di un solo fornitore, il quale ne incominciava a profittare. Si tirò avanti cosí per due anni e piú, lavorando notte e giorno, e il mio compagno di lavoro era Sabino Venezia, il di cui padre era il nostro padrone di casa, e usciva una sera si e una sera no, col carretto carico di verdura che portava a vendere sui mercati, camminando tutte le notti per fare arrivare fresca la verdura sui mercati. Quello che era insopportabile era il sabato [...]

[...]. Per mangiare bene (perché mio padre mi manteneva a stecchetto) escogitai un bel mezzo: mi fidanzavo con tutte le figlie di tavernaie e di bettoliere. Ero diventato un bel giovanotto, mettevo in armonia quella gente di paese che vivevano vegetando, cantavo qualche canzonetta ed avevo in cambio le migliori pietanze, con contorno di qualche bacio. Ero sempre felice, ma qualche volta pensavo anche la vita zingaresca che facevo. La cosa tragica era la sera. Si arrivava in una taverna, quando vi era qualche lettino disponibile, lo riservavo a lui, ed io mi riempivo il sacco pieno di paglia, e lo piazzavo fra le due stanghe del carretto, facendo anche da guardiano alla merce. Quando per la strada eravamo colpiti da una pioggia, e le taverne erano piccole, ci toccava mettere il sacco di paglia sullo sterco degli animali e il mattino quando ci si alzava da quel gia cillo, emanava il fumo dei calore, con profumi poco igienici. E Umberto « 'a Secchia », carrettiere vivente ad Atripalda, e che è stato parecchi anni con noi, potrebbe testimoniare e aff[...]

[...] descrivo la fiducia che da questi clienti avevo acquistata, che non facevano patto. Facevo il conto su un pezzo di carta, tagliavano qualche lira dispara, non per contestare il prezzo, ma per avere la soddisfazione, troppo nota, in quelle donne, di risparmiare. In quell'anno vendemmo quasi tutto, rimanendo qualche poco di merce dispari che vendevamo l'ultimo giorno a qualche rivenditore locale. Dimenticavo, che la caratteristica della fiera era la sera, ed in una diquelle sere, quando la folla sostava per ammirare non per comprare, perché compravano o di mattina o nel pomeriggio, ne feci una delle mie. Feci cucinare mezzo chilo di maccheroni, e mettendolo in un vaso da notte (nuovo però) gridavo ad alta voce: — La mia porcellana è perfetta, liscia, che si può utilizzare anche un vaso da notte usato —. (Ma il mio era nuovo).
I1 mio concorrente barese, che si era messo fuori del convento, credendo che la clientela a prima vista comprasse da lui, ma fece pochissimi affari. Prima di lasciare S. Egidio, volle farmi delle proposte per l'anno pro[...]

[...]orecchio gli disse: — Eppure, è cosí abile e simpatico tuo figlio, che gli dobbiamo far sposare una nostra nipote. — Vi era un
gran negoziante di articoli svariati e bene assortiti di merceria, confezioni dell'epoca per signore, signorine e contadine, molto ricco, il quale avanzò con mio padre proposte di matrimonio di una sua figlia. Ed un altra proposta del genere [fu quella] di un forte negoziante in tessuti di Monteforte Irpino. E quando fu la sera mia madre a tavola ne parlò, tutti ci mettemmo a ridere, perché avrei dovuto sposarmi con quattro. Solamente dopo seppi che la sorella del Capotreno Recine e la nipote di Don Ciccio Bocchino era la stessa cosa. Finí la cosa cosí, imballammo quel poco di residuo della merce, e tornammo ad Avellino, soddisfatto anche quell'anno del risultato.
Ricominciavo la mia vita di cameriere, gestore, sguattero, padrone del buffet, nonché amministratore dell'azienda di cristalli e porcellane, e nel fare qualche sommario, grossolano, chiamiamolo bilancio, a modo mio, mi avvidi che in tutte le aziende vi er[...]

[...]e. Non conoscevo Napoli, che, [solo] qualche volta mio padre mi aveva condotto per qualche giorno. Fittai la medesima camera che mensilmente fittava lui — Albergo Wachinton — (lato partenze) e che pagavo lire 1.25 per sera, e lire 2 al giorno per mangiare. In queste 2 lire erano comprese le sigarette e qualche divertimento. Saltavo il pasto di mezzogiorno, rimpiazzandolo con una pizza (calzone) imbottita di ricotta, qualche soldo di frutta, ed alla sera dopo la chiusura della cassa sotto l'orologio esterno della ferrovia, andavamo al pranzo dalla trattoria della Fortuna (tutt'ora esistente) alle spalle della statua di Garibaldi, ove spendevamo 8590 centesimi, massimo 1 lira. I miei compagni, per lo stesso servizio, erano tre: Cioffi Gaetano, calzolaio di Solofra, Fiumara Pietro, esercente una trattoria di Salerno, e Saturno
ANGELO MUSCETTA
Antonio di Cassino. Era la seconda sera che stavo in loro compagnia, dopo di aver mangiato, facemmo una passeggiata a piedi dalla ferrovia alla Galleria. Lessi un manifesto che al S. Carlo si rappresenta[...]

[...]he il destino crudele volle spezzarlo (come in seguito vi dirò) dopo solo undici anni di matrimonio.
Dopo il pranzo solenne, ci recammo in casa dello zio Canonico e zio Franceschiello, per salutarli e ringraziarli per il loro autorevole consenso, — e partimmo alla volta di Avellino, riportando indietro il cesto con tutta la roba, dopo di aver fatto mangiare al vetturino Miniello, padre del vetturino attuale Angelo Venezia. A casa con i nostri alla sera finimmo di festeggiare tale evento.
Ebbe inizio il nostro fidanzamento ufficiale, e fu stabilito di andare ogni mese a Montefusco, e trattenermi tre giorni per ogni mese. Il primo viaggio fu da me effettuato il 6 gennaio del 1898, con una sgangherata carrozza postale che partiva tutti i giorni alle quattordici, e arrivava a Montefusco alle ore diciassette. La prima sera cenai dalla fidanzata, e a dormire andiedi dalla zia Teresa, sorella di zia Cristina, però all'indomani andammo a salutare un altro zio in secondo grado, Giacomino Recine, ammogliato senza figli, ed abbastanza ricco, e costui[...]

[...]vera seconda madre. Con una forza di volontà cercai dominare il mio turbamento, portando i saluti di tutti i miei, ma a Vincenzina non era sfuggito che io non era il tipo allegro delle altre volte, a cui raccontavo specie alla zia Filomena dente barzellette, che tanto la facevano ridere, e per giustificarmi dicevo di avere un leggiero mal di testa. Ma vi erano delle buone salziccie per cena, e con supremo sforzo feci venire il buon umore.
Passò la serata alquanto allegra, passarono ancora giorni e mesi, l'amore s'ingigantiva sempreppiú, si arrivò al 18 luglio del 1898. Al ritorno dal mio abituale viaggio mensile da Montefusco, trovai a casa una brutta notizia: durante la mia assenza, i miei, cioè mia madre e le mie sorelle Maria e Carolina, che anche loro lavoravano nel buffet (che aveva preso un buon sviluppo) avevano fatto quistione con zio. Sabina, e da due giorni non erano andati nel buffet. Indagai la ragione, e mia madre era solita ingrandire le cose ed era sempre quella che inventava delle cose inutili, a volte gravi, inesistenti, e [...]

[...] la verità, e conoscendo il mio tipo affettuoso, non mancò d'incoraggiarmi, di avere fede in Dio per il nostro destino. Un giorno, profittando che lo zio Sabina era a Napoli, ed analizzando bene le cose, riconobbi che il torto era da parte dei miei, e incoraggiato dalle buone parole della zia Angelarosa, di cui portavo il nome del padre, e mi voleva molto bene, andiedi a prendere servizio, giustificandomi verso i clienti che ero stato poco bene. La sera tornò lo zio Sabino da Napoli con l'ultimo treno di mezzanotte, disse: — Buona sera —, a cui risposi; ma non mi disse altro. Diede alcune disposizioni ,a mio zio Gavino, che funzionava sempre da cuoco, e si ritirò. Fui quella sera un poco contrariato per .il suo atteggiamento ancora severo, e pensando che il lavoro di pacificazione l'avrebbe preparato la zia Angelarosa sua moglie, andiedi a riposare per qualche ora nella stanzetta su una tavola, l'unica camera mia da letto, per diversi anni; camera da letto che da giorno funzionava da sala da pranzo, e la sera la tavola funzionava da letto: stanzetta umida, perché terra piena, e il sole si vedeva a scacchi. Quella vita durò per circa tre anni, e tutta quell'umidità fu la causa farmi perdere in pochi anni uno per uno tutti í denti. Passarono dei giorni, mi riappaciai (e con me, anche i miei) con zio Sabina. Lettere dalla fidanzata Vicenzina venivano tutti i giorni, chiedendomi spiegazione del dissidio, ed io rispondevo che tutto era finito. Si era arrivato alla fine di luglio ed alla prima domenica di agosto si celebrava a Montefusco la festa di M.M.S.S. del Carmelo. Un giorno chiamai in disparte mi[...]

[...]ino. La chiesa del Carmelo a Montefusco era situata al principio del paese e proprio sul fronte del paese verso Avellino, .e su una piazzetta vicino alla chiesa venivano addobbate delle bellissime luminarie, che erano ben visibile dalla nostra stazione ferroviaria di Avellino, quindi il sabato, vigila della festa, fu per me una tortura, vedere da lontano quella festa, e non poterci andare. Non riposai tutta la notte e né anche la domenica fino alla sera, e senza pensarci due volte, dissi a mio zio Sabina, se mi permetteva alle undici di andare a Montefusco, con l'impegno di trovarmi il lunedì mattina alle sette per aprire (anche con qualche ora di ritardo) il buffet. Mio zio in un primo momento non era consenziente, dicendo che avrei dovuto fare setteotto chilometri a piedi in salita, di notte, e altrettanto al mattino; ma poi fini per accontentarmi.
Alle ventitrè vi era l'ultimo treno che, proveniente da Napoli, passava per Avellino, e proseguiva per Benevento. Feci in cinque minuti succintemente la mia toiletta, presi il treno fino alla p[...]

[...]pellino eccentrico (che costava pochissime lire per la sua rimontatura). I regali (per quanto in quell'epoca poco si usassero) pur tuttavia i'l piú di valore era il biglietto di lire 25 dello zio Franceschiello. Però il regala di zia Carmela (non lo posso mai dimenticare) fu di un portabiglietto di seta, costruito, forse, con le sue mani.
Dopo il pranzo, ripartirono alla volta di Montefusco, con due carrozze di gala, i parenti della sposa, ed alla sera grande trattenimento in famiglia, con qualche invitato, il Capo Stazione titolare e qualche impiegato, o amici di famiglia, si ballò fino all'una del mattino, con distribuzioni, di dolci, liquori, spumanti, tutto a profusione.
Dopo tre giorni facemmo il nostro viaggio di nozze. Incredibile ma
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vero, con lire 25, dico venticinque in tasca, oltre il biglietto AvellinoNapoliSaviano (paese di mia madre) e ritorno, naturalmente ospite di parenti. Ero tanto felice nella mia miseria.
Tornai a casa, presi il mio posto di lavoro, e che lavoro. Nessuna umiliazione, ero padrone, ca[...]

[...]e, la mia povera Vincenzina alle ore 22 del 1° luglio volò la sua anima al cielo, lasciando nel più duro dolore a me e i poveri figli in età che avevano ancora bisogno della guida amorosa e materna. La cosa più tragica, che dovemmo nascondere al mio povero padre la grande sventura che mi aveva colpito, perché mio padre voleva piú bene a lei, che a me. Ma al mattino seguente, il 2 luglio, i gridi e i pianti dei poveri figli Amato e Sabino (che io la sera prima avevo fatto allontanare, inviandoli a casa di mia madre) e tutti i parenti di Montefusco, fecero intravedere la realtà della sventura al mio povero padre, che mi volle al suo capezzale, e fondere le mie lacrime alle sue. Mio padre che (secondo il Dottore Aufieri) doveva morire, visse ancora ventotto giorni, e quel santo uomo che sopportò con tanta rassegnazione le sue sofferenze, per non arrecarmi altri Mori, tutte le volte, e dieci minuti prima di morire, alla mia domanda, come si sentisse, rispondeva: — Molto meglio, figlio mio —:
Povero padre, povera moglie! Chi può descrivervi il d[...]

[...]colo Sabino, che a quindici anni pare che era piú incline al commercio, che alla studio.
Mi fu ordinato dall'Ente Autonomo di gestire uno spaccio per la vendita dei generi tesserati, cosa che dovetti accettare per forza, per non perdere il diritto di esonero al servizio militare, ma fu un grande guaio ed un forte lavoro, poiché oltre il lavoro della mia azienda già molto bene avviato, dovevo occuparmi della fornitura di quasi 600 famiglie, ed alla sera dovevo prepararmi ogni cosa, e cioè pacchi di pasta da 123 chili e così per lo zucchero. Però la sera ero aiutato dalle figlie del controllore Venturi, che eravamo più che parenti e spesse volte la sera a mezzanotte si finiva a maccheroni aglio ed olio cucinati sapientemente da mia suocera o, meglio, zia Cristina.
102 ANGELO MUSCETTA
Si andò avanti cosí fino al 1916, venne il richiamo di mio figlio Amato, e fu per me un grande dispiacere, sia perché esso veniva tolto dagli studii, sia perché aveva solo diciassette anni, e fino a quella età non aveva conosciuto privazione, disagi. Fu destinato al 3° Genio telegrafista con destinazione a Firenze, perché io, prevedendo il suo richiamo, gli avevo fatto apprendere in ferrovia l'esercitazione all'ufficio telegrafico. Dolorosamente la sua partenz[...]

[...]i patate, e diversi vagoni di fagioli, corrispondendomi lire due a quintale netto, segnalando telegraficamente il prezzo di acquisto, e spedire dietro conferma, vagoni valuta e sacchi a soddisfazione. Naturalmente col mio saper fare verso i compratori, ogni vagone rimaneva netto per me dalle 6001000 lire. Dal settembre 1916 al dicembre 1917 caricai 156 vagoni: certo, un lavoro non indifferente, il giorno nelle campagne nostre e nel serinese ed alla sera l'andamento del mio negozio e spaccio comunale. Non conoscevo stanchezza, non conoscevo riposo, conoscevo solo la soddisfazione morale e il conforto che solo una moglie intelligente sa dare.
A titolo di cronaca, queste patate che spedivo a Roma venivano vendute dagli spacci comunali lessate a lire 0.60 il chilo, prezzo politico, perché costavano crude molto di piú. Non voglio atteggiarmi a vittima del lavoro o del sagrificio, ma vi prego di credermi che se avessi quella età e quel conforto familiare, incomincerei da capo.
Che cosa non ho fatto in vita mia, tutti i mestieri, e tutti riusciv[...]



da Carlo Muscetta, [Saggio introduttivo a] Angelo Muscetta, Memorie di un commerciante in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1964 - 7 - 1 - numero 69

Brano: [...]ro quando gli nacque Angelino. Ma poiché erano borghesi veri (e non fantocci polemici di un populismo quarantottesco) si erano contentati che « il dono di piacere » arridesse al destino del « figlio d'oro » (come lo chiamava mia nonna) : « l'unica Spalla forte » (come diceva nonno Amato, che in queste memorie vive solo di riflesso, circonfuso di tenerezza, ma, almeno una volta, in una immagine di lirismo straordinario per una prosa tutta fatti, 'la sera in cui il piroscafo attracca a Marsiglia...).
L'ultima pagina del racconto in qualche modo lo compie, can. le gesta del nostro fatato personaggio, in un episodio abbastanza significativo: l'incontro con un grande commerciante di vini che, rovinato dai saccheggi dei tedeschi, sul finire della prima guerra mondiale, aveva ripreso i suoi traffici ed era venuto dalla Francia a fare acquisti in Italia: «volle condurmi a cena nel buffet, e mi
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accorsi che aveva per me già una simpatia » (narra mio padre, che s'improvvisa mediatore, lo accompagna in giro e realizza il più spettac[...]

[...] altro da fare. Aveva ripreso i suoi traffici. Aveva anche lui la sua azienda da ricostruire dopo i danni e i saccheggi della seconda Guerra Mondiale, e si era messo a viaggiare come il suo amico di Epinal, da bravo commerciante che non poltrisce. Trattando con lui, aveva fatto fruttare il suo francese, imparato da un maestro al quale era riuscito cc molto simpatico ». Ora metteva a frutto l'esperienza di quell'incontro, e rico minciava daccapo. La sera, sulla sua scrivania c'erano molti giornali da leggere, e molte amlire da contare, e la distinta da compilarsi per il versamento alla banca. Valevano meno, tanto meno delle lire dell'altro dopoguerra, e molto meno dei soldoni di bronzo con l'effige di Re Umberto, che bambino si dilettava ad ammucchiare. Ma non erano fuori corso, valevano di più della carta bianca da riempire con i ricordi. Primum vivere, e poi biografarsi.
In agni autobiografia gli anni che arrivano sino alla virilità finiscono per attirare naturalmente di più ogni narratore. Ma nel caso di mio padre c'erano altri motivi, ch[...]



da Mario La Cava, Il grande viaggio in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1954 - 5 - 1 - numero 8

Brano: [...]zurro sulle ginocchia, batteva i chiodi col martello o tirava lo spago, colle mani e coi denti, o tagliava col trincetto la suola, secondo l'arte che aveva imparato.
Era un uomo ancora giovane, con un po' di pancetta per la sua vita sedentaria, piccolo di statura, cogli occhi vivi e mobili; le sue mani, ingrossate dal lavoro, erano tanto nere che non si schiarivano nemmeno quando si lavava. Aveva i capelli neri e fitti, spesso impolverati verso la sera o a causa del vento che dalla strada aveva soffiato attraverso la porta aperta o per il suo stesso lavoro sulle scarpe della povera gente. La moglie, della stessa eta, sembrava più vecchia per una banda di capelli bianchi sulla fronte, ed egli per questo, tanti anni prima, aveva tentennato prima di sposarla.
Dalla porta di mezzo che introduceva nella camera del letto, dove vi era pure quello della bambina maggiore, mentre la più piccola dormiva ancora coi genitori, entrava la moglie Rosaria : spesso i due coniugi stavano insieme: la loro vita era tranquilla, se non felice, poiché la felicita[...]

[...], specialmente se era in compagnia tirava diritto, senza occuparsi di loro. Egli usciva di sera, finito il lavoro, oppure, quando non aveva voglia di lavorare o doveva andare a comprare la suola, anche di giorno. Il suo lavoro non era ostinato e continuo; perché egli non aveva sogni di ricchezza per la sua vita, si contentava di quello che guadagnava, e non voleva sacrificarsi. oltre misura.
Ritornata Rosaria a casa sua per preparare la cena della sera, Giuseppe già aveva smesso il lavoro, aveva licenziato il ragazzo e si era
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lavato. Le bambine giocavano tra di loro, e la più piccola rincorreva la grande, dandole dei piccoli colpi colle mani, gridando e ridendo.
«Per il pesce é inutile parlare, stasera — disse Rosaria metterò la.
pasta e la farò col pomidoro ».
« No, non é venuto! » rispose Giuseppe.
Ma proprio in quel momento comparve Luigi, il pescatore. «Non abbiamo pescato nemmeno una coda di pesce! E abbiamo fatto cinque cali! È una sfortuna, un malaugurio, proprio quando ti avevo promesso il mezzochilo di trigli[...]

[...]eppe. Ma Luigi non insisté, e s'allontanò, allegro malgrado la disdetta. « Arrivederci, arrivederci cornmare Rosaria! » disse il pescatore.
Rimasti soli, Rosaria accese il fuoco nel fornello messo in un canto della stanza da lavoro, dopo averlo tolto da un bugigattolo oscuro che doveva servire da cucina, ma che non era mai adoperato. Fece friggere il pomodoro nell'olio per la salsa; poi avrebbe fatto bollire l'acqua nella pentola per la pasta.
La sera intanto era calata e la stanza era piena di ombra; i volti non si vedevano e, nell'attesa di accendere il lume, mentre i figliuoli s'erano chetati, Rosaria parlava. « Il padre ha domandato tanto di te — diceva al marito —. Si lagna che non ti vede mai, che non vai a trovarlo; e se passi davanti alla porta, non ti fermi nemmeno... ».
Era la verità, e Giuseppe che sentiva il torto taceva. Rosaria continuava: «Ci vuole tutti con sé. Non fa che domandare quando Filippo e Antonio ritornano dall'Egitto... ».
«Aspetta, che ritorneranno!...» esclamò Giuseppe.
« Certo un padre vuole sempre i figli [...]

[...]useppe; ma per Rosaria l'Egitto o l'America era la stessa cosa. Il marito, scherzando ancora, aggiunse : « Non si danno pace che sono senza figli; e vogliono, si vede, avere bambini dello stesso loro sangue per casa... ».
« Quanto godrebbero vedere da vicino le figliuole; le fotografie che abbiamo mandate non sono chiare, non si capisce niente! ».
« Tu, poi, vorresti le fotografie proprio al naturale! » disse Giuseppe; e dovendo finire per quella sera stessa la scarpa che aveva lasciato sulle ginocchia, riprese il lavoro.
Rosaria prese la lettera e, dopo avere indugiato alquanto, disse: « Ora vado dalla mamma ».
« Va » rispose Giuseppe; e infatti Rosaria uscì dalla porta per andare a dare notizia della lettera ai genitori e alle sorelle; consegnò la lettera ad Agata, che sapeva leggere, e ridendo annunziò: « Pure a noi ci vuole li! ».
« Stanno bene? » domandò il padre, che non aveva capito le parole della figlia.
« Si, stanno bene! » rispose Agata.
« Cosa vuole Filippo ? » domandò la madre.
« Aspettate che vi legga la lettera; vediam[...]

[...]ima ad invecchiare, come siamo invecchiate noi! » commentò amaramente Agata. E poi: «Ma io glielo dirò a Giuseppe che sbaglia, sbaglia davvero!... ».
Entrarono le bambine ch'erano fuori con altre a giocare a righetta e parvero, così come cinguettavano, folate di uccelli al tramonto. « Lo zio Filippo vi vuole in Egitto! » disse la madre.
Poi ritornarono tutte a casa loro; Giuseppe aveva già finito di lavorare, e si lavava le mani e il viso; quella sera voleva uscire. Sentiva il bisogno di conversare con amici.
Si diresse verso la spiaggia del mare e si fermò nei pressi del cancello di passaggio, dove sempre si riuniva gente e quella sera c'erano parecchie persone che ancora indugiavano; ' il tempo era mite, vento non tirava, e cogli occhi rivolti al mare che col calare delle ombre diveniva sempre piú cupo, era bello stare là a chiacchierare.
C'erano Luigi il pescatore, il padre di Sebastiano, di quegli cioè che doveva sposare la figlia dei Crispini, qualche cantiniere, un fabbro e vari altri pescatori: la maggior parte di loro era stata una o più volte in America, migliorando la propria posizione. Proprio Luigi rimpiangeva che non aveva i mezzi di andare e, se fossero continuati quei tempi, mai sarebbe partito.
« A me mi ch[...]

[...] per chi va là e non intende più ritornare; non dico che non si stia bene; ma quanto a fare soldi, é come da noi » spiegò il fabbro.
«Non esagerare, ora! » non poté fare a meno di ribattere Giuseppe. Parlò ancora delle ragioni che forse lo avrebbe spinto ad andare in Egitto, dove aveva parenti tanto affezionati; ma concluse che per il momento non si sarebbe mosso. Tutti gli diedero addosso, che sbagliava, che non si sapeva regolare.
A casa quella sera stessa non si parlò più dell'Egitto; ma l'indomani Rosaria, svegliatasi, disse non aveva potuto dormire bene, per via di quel pensiero dell'Egitto.
In seguito fecero la lettera di risposta a Filippo: lo ringraziavano, ma per il momento non era il caso di parlare di viaggi; più in là qualche cosa certamente sarebbe maturata.
Agata venne una sera a parlare con Giuseppe. « Ma siete pazzo di trascurare un'occasione come questa? Se Filippo vi invita, si vede che ha le sue ragioni. Avrà trovato un buon posto per voi. Io gliel'ho detto a Rosaria : ti pentirai! » disse la donna.
« Certo bisogna pe[...]

[...]esclamò Giuseppe. «Siamo arrivati. Quello é l'Egitto! » spiegò, voltandosi a guardare la moglie.
Ma la donna che in altre circostanze avrebbe gridato di gioia, ora, bianca in volto, nemmeno rispose. Sospettosa negli occhi, strinse a sé le piccine, le chiamò, se le mise sotto le ali della sua protezione come una chioccia fa coi pulcini.
Quel giorno stesso in cui arrivarono al porto di Alessandria, partirono col treno per il Cairo, dove giunsero la sera, ch'era già notte. Soffrirono il caldo lungo il percorso come se fosse ancora l'estate del loro paese, refrigerio trovando solo quando il treno costeggiava di tanto in tanto il Nilo.
« Guarda che fiume! Sembra il mare! » diceva Giuseppe; aggiungendo per scherzo: «Uguale al nostro Buonamico!...» ch'era un torrente che si asciugava quasi d'estate.
« Che c'entra! — rispondeva Rosaria. — Quello é un'altra cosa! ».
«Le campagne a che sono coltivate? » domandava Giuseppe a se stesso, senza sapersi dare una risposta precisa; e poi soggiungeva : «Non sono belle alberate come le nostre! ».
« Quant[...]

[...]Oh no! io non saprò mai imparare! ».
IL GRANDE VIAGGIO 109
Entrò, poco dopo, Vanda con un piatto di lenticchie che portava in regalo a tutti.
Matilde spiegò : « Ci soliamo scambiare i cibi, a volte ».
« Qui bisogna lavorare! » disse Vanda a Rosaria. « Dovrete rendervi utile! ». E rise scherzando : « Da domattina andremo a fare la spesa insieme, e poi andrete sola, poiché noi dobbiamo correre al lavoro... ». Rosaria tremò di timidezza.
« E alla sera vogliamo divertirci! » esclamò Matilde. E poi, rivolta al marito: « Abbiamo diritto o no, Filippo, dopo avere lavorato ? ».
« Certamente! » rispose l'uomo.
« Anche Rosaria verrà con noi al cinematografo e al passeggio » dichiarò Matilde.
« Io? » chiese Rosaria.
« Anche tu diventerai cittadina! » affermò sorridendo Giuseppe.
Ma Rosaria non era portata a trasformarsi come le cognate. Indossò sempre il suo abito paesano e portò sul capo il fazzoletto azzurro. Imparò si ad andare al mercato e a contrattare cogli arabi; ma a divertimento quasi mai andò, senza essere accompagnata dal marito. N[...]

[...], e i cambiamenti avvenuti erano descritti con minuzia e calore.
«Non ti dico niente di quello che fu dopo che voi siete partiti! » diceva Giuseppe.
L'America, soprattutto, aveva provocato tanti mutamenti: case e palazzi nuovi erano sorti, vecchie abitazioni abbattute, magazzini si erano aperti, gente da poco arricchita era comparsa. Un paese nuovo era sorto accanto al vecchio borgo, lungo la strada del mare, ed era bello andare' a passeggiare la sera.
C'era poi chi era andato in America e non era ritornato; chi aveva ritirato la famiglia, chi se l'era formata là; i figli che avevano abbandonati i genitori, mariti che si erano dimenticati, a torto o a ragione, delle mogli.
« Molte disgrazie perciò sono avvenute! » dichiarò Rosaria.
«E si sa come succede! » rispose Antonio.
« Vedendo tutto quel movimento, perciò mi sono incoraggiato a venire; poiché chi stava indietro non concludeva nulla ed era perduto! » disse Giuseppe.
«Noi ve l'avevamo detto! » aggiunsero i fratelli.
« C'era chi mi dava torto a voler venire in Egitto, anziché anda[...]

[...]invece, cominciò a soffrire agli occhi per la troppa luce che prendeva al mattino quando andava al mercato e per la polvere del terribile vento che ogni tanto imperversava. Quel vento turbinava nelle vie, penetrava, pur attraverso le imposte chiuse, nella casa, e pareva che si volessero scatenare le fondamenta del cielo.
Come allora l'aria nativa, il bel clima del paese era vagheggiato da Rosaria nel suo cuore! Ricordava il venticello fresco della sera nelle
giornate calde d'estate, il bel sole splendente fin nell'inverno, le rare luminose tempeste che vieppiù facevano apprezzare l'amena serenità della regione.
«Quando ritorneremo? » cominciò a domandare Rosaria.
112 MARIO LA CAVA
« A che punto sono i nostri risparmi ? » chiedeva Giuseppe.
Certamente era il caso di sistemarsi meglio, magari con altro lavoro che non fosse quello abituale di calzolaio, se si voleva ricavare qualche utile dal viaggio che si era intrapreso. I fratelli assennatamente insistevano in questo senso. E l'occasione venne data da un incidente sopravvenuto a Giusep[...]

[...] debole e smarrita.
Non aveva ormai più la forza nemmeno di piangere e lamentarsi: i suoi occhi, da cui erano uscite a torrenti le lagrime, s'erano inariditi, la sua voce che aveva lacerato il cuore di chi l'aveva ascoltata, non sapeva nemmeno rispondere alle più semplici domande. Seduta accanto al letto, con il capo abbandonato sui materassi disfatti, non aveva sensi per niente, aspettava il lento passare delle ore fino all'arrivo del marito alla sera.
Giuseppe la sorprendeva a quel modo e il dolore che nella giornata solo a tratti, rompendo il pensiero delle occupazioni continue, raggiungeva la profondità della coscienza, esplodeva ora con furia selvaggia.
« Rosaria mia! » esclamava, buttandosi tr`a le sue braccia; e dolcemente chino su di lei domandava : « Perché sei tanto smarrita, Rosaria? Sono stato assente per così lunghe ore, e tu non hai fatto niente nella casal... Sempre a pensare, a pensare... ».
« Si, si... » rispondeva Rosaria vagamente; e dal posto dove si tro
126 MARIO LA CAVA
vaya, non si moveva nemmeno per dare il cib[...]

[...]ero come se l'avessero incontrata di nuovo nella loro vita. Ernestina la sognò nella notte e la vide mentre giocavano insieme.
Il quadro, poggiato sul cassettone, si confuse nella penombra della camera, colle immagini dei Santi e della Madonna; la lampada che ardeva non si sapeva per chi desse il suo spirituale splendore. Rosaria, spesso sola, sognava la bella vita di un tempo.
Ed i suoi pensieri, e quelli tristi del padre quando si ritirava alla sera, stanco del lavoro e dei contrasti avuti, avevano il potere di isolare, dinanzi agli occhi della gente che sapeva, quella casa col fico davanti, che sembrava la casa del dolore. « Ernestina! », chiamava il padre entrando; e si soffermava un istante, incredulo e sbigottito: gli pareva di aver chiamato per errore l'altra figliuola, Lidia, quella che non c'era piú; e tendendo l'orecchio sentiva l'eco, come se ripetesse: «Lidia! Lidia!».
La madre, allora, pareva volesse conformarsi ai pensieri di lui, e rievocava : « Mi veniva sempre dietro, e io le dicevo : — Mi sembri un cagnolino! —. Ed ella [...]

[...] moglie e da Ernestina. Piansero tutt'e due sulla tomba. Poi Rosaria continuò, prostrata per terra, a rivivere le sue fantasie e i suoi sogni.
Uscendo dal cancello ebbero davanti la vista del golfo con il mare che si perdeva in lontananza. Al di lá v'era l'America, la terra della speranza. Giuseppe e Rosaria ebbero un solo pensiero.
Ma Rosaria, poggiando il capo invecchiato sulla spalla del marito, nella solitudine dell'ora, mentre le ombre della sera cadevano, disse, bisbigliando appena : « Te ne andrai per sempre; e piú non potrai rivedere qui la nostra figliuolal... ».
«Perdonami, Rosaria! — rispose Giuseppe — se non sono stato capace di mantenerti, stando accanto al tuo cuore!... ». Ebbe un moto irresistibile di pianto. Insieme, nella notte sopravvenuta, scesero al paese, si rifugiarono nella casa, passarono l'ultima notte della loro vita.
MARIO LA CAVA



da Armanda Guiducci, La morte grande in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1960 - 1 - 1 - numero 42

Brano: [...]ggetto standardizzato e d'uso normale. Diventa un simbolo della ricerca e della conquista del cibo, degli oggetti.
Per quanto odiosa, l'immagine del formicaio si impone: la vastità brulicante del moto, la frettolosità del va e vieni, la muta e dominante preoccupazione che le governa.
Mentre l'esistenza pratica incalza su questo lato della piazza, sull'altro, opposto, si svolge un pellegrinaggio alla morte.
Dal mattino inoltrato alle cinque della sera, ora in cui la morte vien restituita alla morte, si snoda, risalendo dalla Piazza Manejnaïa, sottostante, la serpentina ininterrotta di coloro che attendono pazientemente di accedere alla visione dei due grandi corpi: Lenin e Stalin.
Se la folla che si riversa al Gum non conosce altro rituale all'infuori dell'urto, della pressione, altra regola all'infuori di quella dello scambio immediato fra denaro e merce, la folla ancor più composita dei pellegrini al Mausoleo sottostà a un rituale prestabilito, a una vera e propria regia della morte.
Lo scopo é quello — alquanto mistico — dell'esaltazi[...]

[...]icientemente tranquilli l'idea che all'intero costo del funerale civile provvederà senz'altro lo Stato?
Della morte sovietica non ne sappiamo nulla. In tutti i libri che abbiamo interrogato sull'Urss, la morte é citata solo come « mortalità »: « coefficiente di », o « diminuzione della v. Gli uomini non amano parlarne.
Allorché il tardo pomeriggio spegne gli ultimi fuochi d'oro sulle cattedrali del Cremlino, il Mausoleo chiude i suoi battenti. La sera, sopra di esso, splendono verticali le stelle elettriche accese nelle guglie delle torri. Nella piazza quasi silenziosa, l'anacronismo fra la grande giornata umana dell'Urss, che naturalmente finisce, e la mole che si squadra granitica, si accentua. Prosegue, piú in ombra, il baratto fra la potenza della morte e la potenza dello Stato.
ARMANDA GUIDUCCI



da Alberto L'Abate, Tre storie di emigrati in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1960 - 1 - 1 - numero 42

Brano: [...]sto dei locali affittati da italiani è molto più alto che di abitudine. Notevole speculazione su di loro spesso fatta da famiglie italiane che vivono da molti anni qui e sono diventate svizzere oppure hanno il permesso di stabilirsi.
mangiare: situazione non buona. Gli edili a mezzogiorno mangiano
164 ALBERTO L'ABATE
a secco spendendo molto e digerendo male. Non esistono, usualmente, mense nei cantieri. Migliore la situazione nelle industrie. La sera gli operai mangiano in ristoranti per 2, 3, 4 franchi e più ma restano spesso insoddisfatti.
istruzione: livello culturale degli operai abbastanza basso. Molti analfabeti e semianalfabeti. Un certo desiderio di apprendere specie in elementi con coscienza sociale più sviluppata. Corsi di educazione popolare o completamente inesistenti o inadeguati. Frequente tendenza a scoraggiare le discussioni ed il desiderio di apprendere sotto pretesto che a non si pub fare della politica». Oppure atteggiamento paternalistico verso gli operai (sono dei poveri analfabeti) che li scoraggia dopo la prima riu[...]

[...]l'altra guerra e fui richiamato. Invece di comprare del terreno, ne avrei potuto prendere un bel pezzetto!, li misi in banca. Quando li ho ripresi non ci ho potuto comprare nemmeno un agnello! La guerra me li aveva dati, la guerra me li ha ritolti.
Dopo la guerra ho voluto fare il contadino. Abbiam preso in affitto un terreno incolto ed abbiamo incominciato a lavorare. Quanto lavoro, mia moglie ed io, per dissodare quella terra! Dalla mattina alla sera, sempre sui campi; ci si fermava a malapena per mangiare. Piantammo patate, ma il tempo fu secco ed il raccolto scarso. L'anno dopo mettemmo grano. Era una gioia vedere il campo tutto carico al tempo del raccolto. Avevamo sudato, ma, finalmente, se ne vedevano i frutti. Avremmo potuto mettere da parte un poco di soldi e magari comprarci un po' di terreno. Ma venne la grandine, all'improvviso, e rovinò tutto. Non ci rimase più niente (t stemmo una giornata intera a piangere tutti e due, aggiunge la moglie, e mi viene quasi da piangere quando ci ripenso. Avevamo fatti tanti progetti! »).
Cosi [...]



da Danilo Dolci, Pagine di un inchiesta a palermo, introduzione di Ernesto De Martino in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1955 - 11 - 1 - numero 17

Brano: [...]a, siccome me soru lava in qualche cucinedda.
La più grande ha nove anni. Sprovvista, la picciridda, putemu mandarli mai a scola?
Me cugnatu e me ziu nesciunu matina matina, e vanno fora sulla ferrovia; per fare i bisogni, c'è la ferrovia. Invece noi sei, nel rinale tutte cose. E poi buttiamo fora.
Me cugnatu e me ziu, pezzantini. Nésciunu di notte con la cesta e raccogliono. Vedono un mucchio di immondizie e la scartano. C'è l'immondizia che la sera buttano fora i signori, le camerere che fanno la pulizia.
Vannu per le strade e dove ci sono le immondizie, cogliono stracci, ossa, vetro, buccie di arancio, buccie di limone, scarpe rotte, pane secco,
148 DANILO DOLCI
e fanno la giornatedda, meschini. Poi le vendono e le pulisce chi le compra. Vengono alla mattina. C'è quando piove e non escono e si sta morti di fame.
Per riempire una cesta ci vuole certe volte mezza nottata, certe volte un'ora, dipende dalla provvidenza di Dio, dalla provvidenza che manda Santa Rosalia. Quando la cartella é piena, vengono a casa. Se é poco, si possono a[...]

[...]lsi a mio padre per accertarmi. Mio padre mi confermò si di avere i soldi, ma erano relativi ai documenti di una cliente. La sua rettitudine mi meravigliò, conoscendo io quali erano una gran parte degli spicciafaccende a Palermo: imbroglioni e truffatori legati agli uffici dei tribunali, nelle preture, dappertutto. Se tu vuoi un documento falso, attraverso questi si riesce ad averlo.
Ho dovuto poi uscire di casa da mio padre, perché sua moglie, la sera mentre eravamo coricati su due materassi per terra, ci tirava i sassolini. Per farci credere che nella casa c'erano gli spiriti. Difatti una volta mia moglie voleva uscire per il gabinetto, e mi disse tremando: — Gli spiriti ci sono in questa casa, Gino —: le avevano buttato sassolini. Una sera gli spiriti ce li feci io a sua moglie: nella stanza dove dormiva mio padre e moglie, c'era un altarino da dove ci veniva la luce
PAGINE DI UNA INCHIESTA. A PALERMO 163
di un lumino dentro la stanza nostra. Allora una sera che arrivavano sassolini, presi una scarpa, la tirai sull'altarino e si spense[...]

[...]i preoccupavano di delimitare la loro porzione, con una cinta, delle pietre, le redini del mulo, come quando sul treno si precipita la gente all'occupazione dei posti, buttando cappelli, borse, giornali.
A me la cosa sembrava strana e chiamai un contadino, dicendo che la cosa non era giusta; e questo mi rispose — Scusami compagno Gino: se io lavoro il terreno col mulo, e quello lo lavora solo, all'ora del prodotto io n'ho a pigliare più assai.
La sera prima, quando si decise di occupare la terra (noi cerchiamo di non dare la sensazione di essere noi che organizziamo, ma di andare sul posto per sentire quali sono le esigenze vive, e aiutarle a riuscire), i contadini ci dissero che dovevano essere tutti all'alba in un punto. Difatti ci trovammo li, noi per i primi i dirigenti, e via via venivano tutti gli altri contadini, con i muli, con le zappe, bambini, giovani.
168 DANILO DOLCI
Quando arrivammo noi era quasi scuro, poi andava allalbando e man mano venivano i contadini. Camminando parlavano, chi pensava già al futuro raccolto, un'allegr[...]

[...]nni se ti tira una scoppiettata chi la vede poi? Iddu se n'andò.
Verso sera se ne venne un'acqua terribile che arrivato al paese, in. casa di un contadino m'infornarono i panni. Noi ce ne eravamo andati
PAGINE DI UNA INCHIESTA. A PALERMO 169
ma due vollero rimanere attaccati alla terra: non volevano muoversi. E i . carabinieri, quando questi rimasero soli, vennero ad arrestarli.
Non so con precisione come siano andate a finire le cose perche la sera, stessa, tornato da li, andai a Montelepre, per l'occupazione del feudo vicino e poi li mi misero in galera.
Nello stesso tempo anche i contadini di Cinisi, Carini, Partinico,. Terrasini e Montelepre si agitavano per avere le terre del Piano degli Aranci. Si stabili che io dovevo andare a visitare questi comuni per rendermi conto di cosa avveniva. Intanto era stato organizzato un comizio a Carini dove avrei dovuto parlare io. Siccome nella piazza v'era la festa del Santo Patrono, si decise che avrei parlato dentro i locali della Camera del lavoro che trovai affollatissima. I pressi della Cam[...]


successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine La sera, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
<---Diritto <---Così <---Storia <---Perché <---Più <---italiano <---Però <---siano <---Come <---Del resto <---Ecco <---Sulla <---comunisti <---fascisti <---Andiamo <---Ma mi <--- <---abbiano <---fascismo <---Ciò <---Già <---Oltre <---Sei <---Va bene <---fascista <---Basta <---Certo <---Cominciò <---Dico <---Dio <---Fuori <---Giustizia <---Hai <---Il lavoro <---La casa <---La notte <---Logica <---Macché <---Pochi <---Vado <---Voglio <---autista <---centesimi <---comunista <---italiani <---lasciano <---lista <---mangiano <---sappiano <---socialisti <---Adesso <---Aspettate <---Bologna <---Capitano <---Chiesi <---Cosa <---Ditemi <---Entrò <---Finita <---Francia <---Gli <---Lascio <---Medicina <---Noi <---Non parlare <---Passò <---Poetica <---Pratica <---Pure <---Qui <---Resta <---Spesse <---Stato <---Stia <---Viene <---cominciano <---d'Italia <---eroismo <---facciano <---grossista <---italiana <---italiane <---pigliano <---socialista <---Ah <---Aix <---Americhe <---Ancora <---Andate <---Angelo Muscetta <---Angiolillo <---Appena <---Arrivò <---Barbaria Tedesca <---Bonne Mère <---Cagliari <---Capo <---Clinica <---Col <---Console <---Cosi <---Davanti <---De Gasperi <---Dei <---Empoli <---Epinal <---Famagosta <---Farmaceutica <---Farmacia <---Fonetica <---Forze Repressione <---Garbatella <---Genio Civile <---Giunti <---Guarda <---Iglesias <---In ogni modo <---Lanciani <---Laurea Universitaria <---Le Monnier <---Lenin <---Locoe <--- <---Marsiglia <---Mi pare <---Modena <---Municipio <---Murate <---Mussolini <---Nicò <---Niente <---Non lo so <---Non voglio <---Orgosolo <---P.C.I. <---P.S. <---Parlò <---Partito <---Peggio <---Piazza <---Ponte Milvio <---Ponte Vecchio <---Porta Rufina <---Posta Vecchia <---Potete <---Povera <---Purgatorio <---Quale <---RAFFAELE CRIVARO <---Repressione Banditismo <---Retorica <---S.S. <---Salerno <---Salutandola <---Salò <---San Michele <---Sarai <---Sardegna <---Sarà <---Segni <---Senti <---Signore <---Sopramonte <---Statti <---Svizzera 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